
Il dibattito che si è aperto sulla questione del 2% del PIL da destinare alla Difesa entro il 2024 merita una riflessione da parte nostra. Partiamo con ciò che è ovvio, ovvero l’impegno assunto in ambito NATO a partire dal 2014. Impegno “tendenziale”, certamente, ma che l’invasione russa dell’Ucraina ha reso più urgente e da raggiungere nel più breve tempo possibile. E proprio l’Ucraina ha dimostrato con tutta evidenza quanto sia importante disporre di uno strumento militare all’avanguardia, tecnologicamente evoluto e ben addestrato. Ma attenzione, l’Ucraina è solo la punta di un iceberg rappresentato da un sistema internazionale sempre più complesso, insicuro e competitivo. Già da anni si parla infatti di continuum tra competizione, crisi e guerra: tutto vero, la pace “classica” non esiste più, ed è stata “rimpiazzata” da uno stato di competizione permanente, che vale per l’amico ed il nemico ma anche per l’amico e l’amico. La ragione è molto semplice: siamo sempre di più, ovvero gli attori rilevanti sulla scena sono più numerosi, ma le risorse sono sempre quelle, o addirittura più scarse. Un sistema Paese, dunque, deve mantenersi competitivo e per farlo deve investire in settori strategici e ad alto contenuto tecnologico; il primo di questi è ovviamente la Difesa. Uno strumento militare all’avanguardia è dunque fondamentale per garantire la competitività di un Paese, intesa come capacità di deterrenza e di tutela degli interessi strategici, ma anche come capacità di mantenere e/o elevare il posizionamento relativo dello stesso Paese nella gerarchia internazionale: posizionamento funzionale alla garanzia del benessere dei cittadini e del soddisfacimento delle loro domande Cose abbastanza ovvie, come del resto è ovvio sottolineare la rilevanza del comparto industriale militare italiano. Alte spese in ricerca e sviluppo: 10/12% dei ricavi, contro un 2,5% dell’automotive. Alto moltiplicatore di valore – 3,4 - ovvero per ogni euro investito in difesa se ne generano 3,4 come valore complessivo per tutto il sistema economico. Volendo ancora fare una comparazione, l’automotive genera 2,2 euro. Alto moltiplicatore occupazionale: per ogni addetto diretto ce ne sono 3 indiretti e nell’indotto. E poi, ancora: il vantaggio competitivo che nel settore l’Italia continua ad avere verso quei Paesi emergenti che negli ultimi 20 anni hanno invece sbaragliato altre nostre manifatture. Infine, altissima propensione all’export, con tutto ciò che ne consegue in termini tanto di bilancia commerciale quanto di alleanze e partnership strategiche. Insomma, dati di fatto incontrovertibili che però vengono colpevolmente trascurati in un dibattito a tratti degno del peggior Costarica.
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