RIVISTA ITALIANA DIFESA
Mar Cinese Meridionale, la Cina aumenta la pressione approfittando della “distrazione” afghana 02/09/2021 | Massimo Annati

La Cina, con una mossa del tutto inattesa, a partire dal 1° settembre 2021, pretende che tutta una serie di navi comunichino i propri dati alla propria Guardia Costiera (MSA, Maritime Safety Administration) prima di entrare nel Mar Cinese Meridionale. Si tratta di un’area molto vasta, racchiusa in quella che è nota come la “linea dei nove tratti”: uno spazio marittimo che lambisce le coste di diversi Paesi, e che la Cina considera come proprie acque territoriali, invece che come acque internazionali. Da notare che la Cina parla proprio di acque territoriali, uno spazio che secondo la Convenzione sul Diritto del Mare (UNCLOS) si può estendere fino ad un massimo di 12 miglia dalla costa, non centinaia di miglia. La nuova disposizione, emanata a sorpresa in un momento in cui l’attenzione dei governi di tutto il mondo è concentrata sulla questione afghana e sull’emergenza pandemica, prevede che tutti gli operatori, commerciali o militari, di alcune tipologie di navi (sottomarini, navi a propulsione nucleare, navi che trasportino materiale radioattivo, navi che trasportino petrolio, prodotti chimici, gas liquefatto, o materiali pericolosi), prima di entrare nell’area in questione debbano preventivamente informare la MSA della posizione, della destinazione (anche se non dirette ad un porto cinese, ma solo in transito nel Mar Cinese Meridionale), della natura del loro carico, e che almeno ogni 2 ore aggiornino la loro posizione, o mantenendo attivo l’AIS, oppure con comunicazioni specifiche. Secondo l’UNCLOS queste sono acque internazionali, e come tali soggette al libero transito, senza alcuna limitazione. Nel 2016, a seguito di una contesa giudiziaria tra Cina e Filippine, una corte arbitrale indipendente ha stabilito che la Cina non ha alcun diritto su quelle acque, e che la quasi totalità delle risorse economiche della fascia meridionale di quella zona reclamata dalla Cina appartiene invece alle Zone Economiche Esclusive degli stati costieri (Brunei, Malesia, Indonesia, Vietnam, Filippine). La risposta ufficiale della Cina è stata sprezzante: un comunicato ha definito la sentenza come “nient’altro che un pezzo di carta straccia”. La Cina ha occupato diverse isolette, e atolli, provvedendo a ingrandirli e a trasformarli in presidi permanenti, talvolta dotati di moli di ormeggio, piste di atterraggio, bunker, alloggi, radar, piazzole per missili, ecc. Finora la Cina ha cercato di imporre la propria presunta sovranità solo in alcuni casi di sfruttamento delle risorse economiche. Ad esempio intervenendo in modio massiccio con dozzine di pescherecci della cosiddetta “milizia marittima” per ostacolare le altrui attività di prospezione, o il pattugliamento di navi di guardie costiere straniere. Altrettanto sono state compiute manovre di disturbo o di vibrata protesta diplomatica nel caso di presenza di navi militari impegnate in operazioni FON (Freedom Of Navigation) col transito ai limiti delle 12 miglia dalle isolette cinesi. È quindi ancora tutto da capire se, come e quando la Cina intenderà imporre il rispetto della propria ordinanza, anche se il documento ribadisce che “la MSA dispone dell’autorità e del potere per respingere l’ingresso di una nave nelle acque territoriali cinesi, se si dovesse accertare che questa rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale cinese”. È ovviamente importante capire cosa si vuol esattamente intendere con “rappresenta un rischio”. Già nel 2013 la Cina aveva istituito la Air Defense Identification Zone (ADIZ) sul Mar Cinese Orientale; una zona che si sovrappone ad ampie fasce dello spazio aereo di Taiwan, Corea del Sud e Giappone. Ovviamente tutti I vettori aerei commerciali si sono immediatamente adeguati alla richiesta cinese, per non rischiare pericolose intercettazioni e/o sanzioni. È quindi molto verosimile che gran parte, se non tutti, gli operatori marittimi si adegueranno a tali richieste, a prescindere dalla nazionalità dell’armatore, al fine di evitare problemi. Facendo così, si fornirà un’ulteriore patina di legittimità alle pretese cinesi. Il prossimo annuncio, ormai dato per scontato, è l’istituzione di una ADIZ nel Mar Cinese Meridionale. Ed è presumibile che i Cinesi non si faranno molto impressionare da qualche altra FON o dal transito di una portaerei nei pressi di Taiwan. Questo approccio deve essere visto come una parte di una ben più ampia strategia a lungo termine: la si può chiamare Guerra Ibrida, o Grey Zone, oppure Tattica del Salame (si accetta controvoglia che l’avversario tagli una fettina, perché una risposta armata sarebbe eccessiva, poi ne viene tagliata un’altra, e poi un’altra ancora, fino a che del salame non resta più nulla…). La strategia cinese mira ad acquisire nel lungo periodo un vantaggio strategico, senza il rischio di un conflitto, e quindi operando ben al di sotto della soglia di un confronto armato.


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