RIVISTA ITALIANA DIFESA
Le armi leggere subacquee russe 02/04/2021 | Claudio Bigatti

L’Unione Sovietica prima e la Federazione Russa poi, hanno studiato e sviluppato con continuità un gran numero di armi leggere subacquee. Benché le dottrine di impiego delle Forze Speciali russe in acqua e, soprattutto, sott'acqua si siano evolute in modo analogo a quanto accaduto in Occidente, Mosca ha posto grande attenzione nello sviluppo di questa categoria di armi, un aspetto quest'ultimo unico e originale e che merita senza dubbio un approfondimento. Per capire come mai le realizzazioni sovietiche/russe nel campo delle armi subacquee siano molto più numerose rispetto a quelle occidentali (sostanzialmente limitate alla pistola H&K P-11) è necessario accennare brevemente a ciò che accadde al termine della Seconda Guerra Mondiale. Innanzi tutto, nel corso del suddetto conflitto, l’Unione Sovietica rimase impressionata dai risultati conseguiti dagli affondatori italiani della Decima Mas: anche i Sovietici utilizzarono sommozzatori da combattimento, ma in maniera molto più limitata (e in contesti tattici più che strategici) rispetto a quanto fatto dall’Italia. Come detto, nel dopoguerra, vi furono numerosi episodi che portarono la Russia ad investire nel campo degli “uomini rana”. Ne vogliamo ricordare alcuni, anche se, quasi certamente, furono molto più numerosi. Innanzi tutto, nel 1954, sulla spiaggia prospiciente un sanatorio frequentato dall’élite politica sovietica, vennero rinvenute impronte riconducibili a quelle di sommozzatori o incursori venuti dal mare: un episodio che provocò allarme tra i militari ed i politici e che accelerò la nascita di unità di “sommozzatori da combattimento”. L’anno dopo si verificò l’oscuro episodio dell’affondamento della corazzata NOVOROSSIJSK: la nave, che era in rada a Sebastopoli, colò a picco il 28 ottobre 1955 a causa di una violenta esplosione sottomarina. Ricordiamo che l'unità era l’ex corazzata italiana GIULIO CESARE, ceduta all’Unione Sovietica nel 1949 in conto danni di guerra. La versione ufficiale accreditò l’ipotesi di una mina tedesca (residuato bellico), esplosa accidentalmente sotto la chiglia. Teorie successive, parlarono invece di un sabotaggio effettuato da elementi della Decima MAS per vendicare l’onore dell’Italia; tale operazione, secondo altri, aveva avuto addirittura l’avvallo della NATO. Di certo, i militari sovietici nutrirono questi sinistri dubbi per molti anni. Nel 1956 vi fu poi il famoso “caso Crabb”, relativo a Lionel Crabb, un famoso sommozzatore della Royal Navy arruolato nell’MI6 al termine della Seconda Guerra Mondiale. La notte del 19 aprile 1956 Crabb scomparve durante un'ispezione subacquea della chiglia dell’incrociatore sovietico ORDZHONIKIDZE, ancorato nel porto britannico di Portsmouth durante una missione diplomatica. Pare che Crabb dovesse studiare le eliche della nave oppure installare un sistema di rilevamento. Quattordici mesi dopo, il suo corpo decapitato e senza mani emerse dal mare, dando inizio ad una infinita serie di speculazioni sulla reale identità di quel cadavere e sulla sua fine: un mistero che perdura ancora oggi. Naturalmente, i Russi negarono qualunque legame con la sua morte. Di certo, l’MI6 non era nuovo a questo tipo di “ispezioni” subacquee: nel 1955 lo stesso Lionel Crabb "ispezionò", insieme al collega Sydney Knowles, la chiglia dell’incrociatore russo SVERDLOV, scoprendo dei bow thruster (eliche di manovra) nello scafo, un sistema fino ad allora sconosciuto (e mai riscontrato in precedenza su altre navi dell'URSS).

Tutto l'articolo è disponibile su RID 4/21.


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