RIVISTA ITALIANA DIFESA
Un’analisi sull'uccisione dell’ambasciatore italiano in Congo RD 22/02/2021 | Pietro Batacchi

L’uccisione dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio, assieme al Carabiniere di sorta, Vittorio Iacovacci, e l’autista porta drammaticamente all’attenzione anche in Italia la situazione nella regione orientale del Congo RD. L’attacco, mentre l'ambasciatore viaggiava in un convoglio della missione ONU MONUSCO nel Paese, è avvenuto a Kanyamahoro, ad alcune decine di chilometri da Goma, capitale del Nord Kivu, al confine con il Ruanda. Si tratta di una delle aree più pericolose del pianeta dove operano milizie a base etno-tribale e criminale di ogni genere, e dove si sovrappongono interessi diversi, ma tutti ricondicibili alla ricchezza di un sottosuolo che nasconde oro, coltan, pietre preziose, ecc. A ciò bisogna aggiungere i traffici ed i contrabbandi legati al parco nazionale del Virunga, famoso in tutto il mondo per la presenza dei gorilla di montagna, che si estende per quasi 8000 km² proprio in questa regione. Non a caso i Ranger del parco, un piccolo esercito di quasi 1.000 unità, sono spesso bersaglio di attacchi e agguati. Quest’area è stata teatro di uno dei più feroci, atroci e violenti conflitti dopo la Seconda Guerra Mondiale, un conflitto che ha coinvolto più stati africani – tanto da essere etichettato anche come guerra mondiale d’Africa – e che è stato originato dal genocidio in Ruanda della primavera del 1994 e dalla fuga in Congo RD dei miliziani e di tutto quel pezzo di stato ruandese hutu protagonista della mattanza ai danni dei Tutsi. Dopo di allora, il Fronte Patriottico Ruandese (tutsi), che pose fine al regime hutu e che dal 1994 detiene ininterrottamente il potere a Kigali con Paul Kagame - prima Vicepresidente e poi, dal 2000, Presidente - non ha mai rinunciato al disegno di controllare la regione nordorientale del Congo RD interferendo nelle sue vicende interne a più riprese. In pratica le grandi guerre provocate dal genocidio del 2004 non sono mai del tutto finite ed i loro effetti si fanno sentire in diverse forme ancora oggi. Ed ecco che nella regione operano oltre che milizie a base territoriale di ogni genere e risma (ma tutte accomunate dalla sistematica violazione di ogni genere di diritto umano e dall’uso come strumenti “operativi”di maceti, stupri, schiavizzazioni, sodomizzazioni di bambini e così via), gruppi di etnia tutsi, spalleggiati dal Ruanda e da Kagame, ma anche le famigerate FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda) che raggruppano ciò che resta dei “genocidari” del ‘94. Le FDLR hanno perso molta della loro influenza negli ultimi tempi, ma mantengono una certa capacità operativa anche grazie al supporto del regime militare (hutu) di Évariste Ndayishimiye nel vicino Burundi (un altro modello in quanto a rispetto dei diritti umani...). Insomma, Hutu e Tutsi continuano ancora a combattersi. Ma un’altra realtà influente nella regione è rappresentata dalle ADF (Alleanza delle Forze Democratiche), un gruppo islamico in lotta contro l’Uganda del Presidentissimo Museveni che di recente ha intensificato i propri contatti con la galassia jihadista: una vicinanza che si è tradotta nel 2019 in un’affiliazione allo Stato Islamico di una parte dei suoi miliziani e nella nascita della Provincia dello Stato Islamico in Africa Centrale, SIAC. Quest’ultima organizzazione ha contatti pure con Ansar al-Sunna, protagonista e causa della recente stagione di instabilità nella provincia di Cabo Delgado, nel Nord Mozambico, uno dei fronti del Jihad in Africa attualmente più caldi (assieme a quello sahelita). Non è da escludere, dunque, che il SIAC abbia deciso di alzare il tiro e colpire un bersaglio ad alto valore – come, appunto, un convoglio della MONUSCO - per accreditarsi ulteriormente sul piano internazionale. Ma nulla, a queste latitudini, può essere escluso a priori.


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