I progressi nei negoziati ONU per risolvere la crisi libica sono arrivati a un punto di svolta. Negli ultimi 2 giorni, i 75 delegati del Libyan Political Dialogue Forum hanno trovato un accordo sul meccanismo per scegliere il nuovo Consiglio Presidenziale e il Primo Ministro. Separatamente, si è arrivati a un accordo anche sulla riforma della Costituzione e sul referendum per convalidarla, un passo necessario per svolgere le elezioni presidenziali e politiche del 24 dicembre entro una cornice di piena legalità. Non tutti gli attori, libici ed esterni, appoggiano questi passi in avanti. I progressi infatti determinano inevitabilmente vincitori e sconfitti. Dai negoziati, chi esce ridimensionato è il Premier del Governo di Unità Nazionale (GUN) Sarraj. Presto potrebbe dover lasciare l'incarico, sacrificando le ambizioni politiche sull'altare della riunificazione del Paese. Sarraj non sembra essere riuscito a catalizzare attorno a sé il supporto necessario, al contrario di alcuni suoi rivali come Maitig (capace di stringere accordi con Haftar e l'Est per la riapertura dei pozzi e accelerare una riforma fondamentale come la riunificazione del tasso di cambio) e Bashagha (attento ad accreditarsi anche tra gli sponsor esterni delle forze della Cirenaica come uomo in grado di tenere a bada le milizie dell'Ovest). In quest'ottica va letta la creazione dell'ASS, l'Autorità di Supporto alla Stabilità con cui Sarraj si è blindato dietro ad alcune potenti milizie tripoline. Parallelamente, dall'intesa ONU esce ridimensionata anche la politica degli EAU. Nei fatti, fin dal 2019 Abu Dhabi è stata risolutamente contraria a una soluzione politica della crisi, interpretando la Libia come un altro teatro dello scontro regionale con la Turchia e della lotta contro l'islamismo politico. Qualsiasi accordo, oggi, certificherebbe invece un certo grado di influenza di Ankara nel Paese, vista la sua presenza in Tripolitania e gli accordi militari ed economici stretti con il GUN nell'ultimo anno. Come nelle fasi più accese del conflitto, in queste settimane si sono registrati numerosi voli tra gli EAU e la Cirenaica, indizio di un possibile arrivo di rinforzi in vista di una futura ripresa delle ostilità. La ripresa di tali voli è coincisa con l'avanzamento dei lavori negoziali. In più, altri sponsor delle forze della Cirenaica come Egitto e Francia hanno ormai abbandonato l'idea di una soluzione militare, lasciando Abu Dhabi ulteriormente isolata. Quanto alla Turchia, l'accordo ONU dà una patente di legittimità alla sua presenza in Libia, ma non fornisce alcuna garanzia per quanto riguarda il grado di influenza sulla politica libica che Ankara sarà in grado di esercitare. In più, con un accordo in essere e la riunificazione incipiente, aumenta la pressione per il ritiro delle migliaia di mercenari siriani che la Turchia ha portato nel Paese dal 2020. Su questo sfondo, tanto Sarraj quanto Abu Dhabi e Ankara avrebbero interesse a far deragliare i negoziati, o perlomeno a congelare la situazione. Non è un caso che non appena raggiunto un accordo in sede negoziale, un comunicato congiunto di Francia, Germania, Italia, UK e USA abbia messo in guardia qualsiasi attore dall'interferire con il processo di riunificazione, pur senza fare nomi. Resta il fatto che i negoziati hanno un punto debole molto evidente: il controllo del territorio nelle zone sensibili del Paese, come la capitale dove hanno sede le istituzioni principali, non è affatto assicurato. Il panorama variegato di milizie che si spartiscono la capitale ha dimostrato più volte, in passato, di mutare al di fuori di qualsiasi schema ideologico e inseguendo solo la convenienza del momento. Per questa ragione, negli ultimi anni, queste stesse milizie sono state corteggiate da alcune potenze esterne, Turchia e EAU inclusi. In una fase in cui l'accordo ONU mette in cattiva luce le milizie e ne minaccia la legittimità, non si può escludere che i Paesi più desiderosi di interrompere la riunificazione libica aumentino le loro offerte ai gruppi armati. La frattura creata da Sarraj con l'ASS, che si oppone alle forze sotto il controllo del Ministero dell'Interno (Bashagha) e ad alcune potenti milizie misuratine attestate nei pressi della capitale, potrebbe perciò presentare un'occasione insperata e preziosa per raggiungere l'obiettivo di far deragliare i negoziati.