RIVISTA ITALIANA DIFESA
Nagorno Karabakh, le forze in campo 28/09/2020 | Giuliano Da Fre'

Nel 2021 Azerbaijan e Armenia festeggeranno i 30 anni dall’indipendenza da Mosca; ma, al pari della milizia dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh (sostenuta da Yerevan, e di fatto collegata all’apparato statale militare armeno) i loro arsenali sono ancora largamente formati da sistemi d’arma “made in URSS”, e per lo più risalenti agli anni ’70 e ’80, sebbene ammodernati e supportati dall’industria russa. Chi si è più smarcato da Mosca, pur non rompendo i legami con i fornitori ex sovietici, è il governo azero: entrambi i paesi hanno inoltre accelerato i programmi di upgrade o di nuove acquisizioni dopo la breve “guerra dei 4 giorni” dell’aprile 2016, il più grave confronto armato dal “cessate il fuoco” del 1994, e prima della nuova fiammata dell’estate 2020. Nei programmi militari, l’Azerbaijan è decisamente avvantaggiato dai proventi del petrolio, e dal supporto turco (assicurato con un accordo quadro del 2009, e che vuol dire accesso anche ai sistemi d’arma e alle dottrine di area NATO) e israeliano, e già prima del conflitto del 2016 aveva costantemente incrementato la spesa militare, con una crescita stimata di quasi il 500% a partire dal 2012. Baku, pur continuando ad acquistare sistemi d’arma da Mosca, ha così differenziato le fonti di approvvigionamento, che includono anche Stati Uniti, Pakistan e Sudafrica, mentre col Canada è stata formata una joint venture, AZCAN Defence Solutions. Le Forze Armate Azere contano su circa 70.000 effettivi, tra coscritti e volontari, cui si aggiungerebbero 300.000 riservisti in caso di mobilitazione, sebbene di discutibile efficienza. Con 57.000 effettivi, che alimentano 31 brigate – di cui 4 meccanizzate e 1 SOF – inquadrate in 5 comando di corpo d’armata, l’Esercito è il nucleo principale dell’apparato militare azero. La componente pesante (mezzi corazzati, artiglieria) è di derivazione largamente russo-sovietica, ma con un crescente numero di materiali moderni. Come i 100 carri T-90S consegnati nel 2013-2015 (con una opzione per altri 100 non ancora esercitata), che si aggiungono a circa 500 T-72 acquisiti da varie fonti, sottoposti al programma ASLAN dell’israeliana Elbit Systems, comprendente nuovi sensori e corazze aggiuntive. Programmi simili sono in corso per la modernizzazione di APC e IFV. Tra 2007 e 2015 i nuovi acquisti comprendevano 100 BMP-3M e altrettanti BTR-80A, mentre venivano avviati gli upgrade per circa 400 BMP-2 e BTR-70; mezzi che secondo alcune fonti potrebbero essere in parte sostituiti da 8x8 PIRANHA-V, mentre nei depositi della riserva, o presso i centri addestrativi, restano i più datati T-55, BMP-1 e APC tipo MT-LB e BTR-60. Nel 2017-2018 sono invece stati acquistati anche altri 24 BMP-3 in versione cacciacarri Khrizantema-S, e 76 BTR-82A. Per i mezzi blindati medio-leggeri, invece, il materiale russo-sovietico è stato quasi completamente sostituito con mezzi turchi (Otokar COBRA e ZPT), israeliani (ABIR, STORM), cui si aggiungono mezzi MRAP realizzati su licenza (140 tra MARAUDER e MATADOR sudafricani in produzione dal 2009 al 2014), mentre dal 2017 sono in consegna APC 4x4 SENTRY e HURON della AZCAN, anche per il ministero degli Interni. Simile l’ammodernamento dell’artiglieria, che ai datati sistemi ex URSS (per lo più obici a traino da 122, 130 e 152 mm) sta affiancando una moderna e robusta componente di semoventi e lanciarazzi campali, comprendente anche 15 tra autocannoni e mortai semoventi ATMOS-2000 e CARDOM israeliani, e oltre 100 lanciarazzi russi TOS-1 e turchi T-107/122/300, tutti entrati in servizio dopo il 2010. Dopo il conflitto del 2016, che aveva posto in evidenza alcune criticità (e provocato qualche perdita) sono stati acquistati altri sistemi d’arma, per lo più semoventi, sia nuovi che ricondizionati: 10 lanciarazzi ruotati pesanti da 300 mm B-200BM POLONEZ venduti dalla Bielorussia nel 2017 (assieme a 26 obici trainati da 152 di seconda mano), mentre dagli arsenali ex cecoslovacchi sono arrivati, sempre nel 2017-2018, 30 lanciarazzi semoventi RM-70 da 122 mm e alcune decine di semoventi ruotati da 152 mm DANA. Israele ha fornito altro materiale sofisticato, compresi nel 2018 4 lanciatori LORA per 50 missili “quasi-balistici” (Short-Range Ballistic Missile-SRBM) con gittata sino a 300 km e guida INS/GPS. L’armamento individuale e di squadra è pure in fase di aggiornamento con missili SPIKE anticarro e SA-24 sup/aria, e con la fanteria dal 2018 riequipaggiata con il nuovo fucile d’assalto prodotto su licenza AZTEX AR-15, mentre UAV e radar di tiro israeliani e russi supportano l’ammodernamento dell’artiglieria azera. UAV (HEMERS-450 e dal 2017 HERMES-900, HERON, SEARCHER) in carico anche all’Aeronautica, la cui punta di diamante è rappresentata da una squadriglia di MiG-29 ex ucraini acquistati e ammodernati nel 2006-2011, una di Su-25 venduti dalla Bielorussia nel 2009 e 24 elicotteri d’attacco HIND, ricostruiti allo standard Mi-35M nel 2011-2014. A questi mezzi si aggiungono L-39 da attacco e addestramento avanzato, affiancati dal 2018 da 10 MFI-17 da addestramento basico di produzione pakistana. Quest’ultimo è il primo passo di un ambizioso programma di ammodernamento dell’Aeronautica azera, proseguito 6 mesi fa con l’annuncio relativo al potenziale acquisto di un primo lotto di 12 M-346T da addestramento avanzato, con opzioni per un secondo lotto in versione FA, mentre sono in valutazione moderni caccia multiruolo MiG-35, Su-35 e cino-pakistani JF-17, in risposta ai nuovi programmi armeni, che tentano di ovviare a una inferiorità numerica pari a 1 a 3, con mezzi sofisticati. Anche la flotta di elicotteri tattici in fase di implementazione, col contratto siglato nel 2010 per 66 Mi-17, mentre anche i sistemi SAM sono in fase di ammodernamento con BARAK-8 israeliani e S-300PMU2 russi ordinati nel 2010-2011, e un radar spagnoli LANZA-LTR, operativo dal 2019. Prosegue anche l’ammodernamento della piccola Marina azera, componente chiave per la protezione delle strategiche piattaforme petrolifere offshore nel Caspio, ma che esula dal conflitto con l’Armenia. Pur disponendo di minori risorse, l’apparato militare armeno ha del pari proseguito il suo potenziamento, avvantaggiato da una mentalità “israeliana”, rafforzato dalle milizie del Nagorno-Karabakh e da un contesto strettamente difensivo; e dal supporto di Mosca, presente in Armenia con basi e uomini. Dato lo svantaggio demografico ed economico nei confronti di Baku, Yerevan mantiene una forza attiva di quasi 56.000 effettivi tra militari e paramilitari, cui vanno aggiunti i 21.000 uomini delle forze di autodifesa del Nagorno Karabakh, e oltre 200.000 riservisti. L’equipaggiamento è decisamente più datato. L’Esercito, su 5 piccoli corpi, impiega quasi esclusivamente mezzi ex sovietici e russi ceduti negli anni ’90 e 2000, compresi quelli delle milizie armene, con 200 carri T-72 di varie versioni e 20 più recenti T-80, mentre la componente per il trasporto truppe dispone di alcune centinaia di BMP-1/2, BTR e BRDM di vari modelli, con programmi di ammodernamento che, per ora, avrebbero riguardato solamente i BTR-70, con nuovi motori e torretta da 30 mm. Dopo la guerra del 2016, per ovviare alle criticità emerse, sono stati avviati programmi di ammodernamento per i carri, portati allo standard T-72B3, e acquisito un piccolo lotto (forse 20-30 esemplari) di T-90S. Lo stesso discorso vale per l’artiglieria, un campionario del vecchio arsenale dell’URSS, con pochi “pezzi” più recenti, come i missili a corto raggio ISKANDER, che però sono gestiti dai militari russi presenti in Armenia. Maggiore attenzione è stata data al materiale individuale e di squadra destinato alla fanteria armena, che può contare su un morale più alto, grazie alle vittorie ottenute negli anni ’90, e a posizioni difensive fortificate con cura, e su più moderni mortai israeliani e missili anticarro russi, oltre a MILAN e MANPADS tipo IGLA; un riequipaggiamento implementato dopo il 2016, anche per ripianare perdite e consumi. Dopo quel conflitto, inoltre, Yerevan ha cercato di ovviare alla sua debolezza in materia di difesa aerea (in parte compensata dalla presenza di basi russe), cui il programma di ammodernamento lanciato nel 2003 non ha posto rimedio. La difesa aerea è, di fatto, assicurata da caccia MiG-29, elicotteri Mi-24P e da sistemi SAM S-300V dispiegati da Mosca nelle basi armene, che curano anche l’addestramento dei piloti di Yerevan. Questi ultimi possono contare su meno di 20 tra Su-25 da attacco e L-39 da addestramento e appoggio tattico acquistati di seconda mano da Ucraina e Slovacchia tra 2004 e 2010. La flotta ad ala rotante impiega invece una trentina tra elicotteri d’attacco Mi-24/35 e da trasporto Mi-8/17, mentre è attiva una discreta linea produttiva di rustici droni nazionali, circa 40 in servizio. Dopo la guerra del 2016 non solo sono stati presi in considerazione gli Yak-130, per sostituire Su-25 e L-39; soprattutto, nel 2019 è stato siglato un primo contratto per la consegna immediata di 4 fiammanti caccia Su-30SM, operativi da fine 2019 – forse con piloti a contratto russi, in attesa di formare quelli nazionali –, e altri 8-12 velivoli in opzione. Aerei decisamente più sofisticati di quelli azeri, e schierati assieme a 2 nuovi sistemi SAM Tor-M2KM.


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