RIVISTA ITALIANA DIFESA
Dai cacciamine alle navi madre 24/03/2020 | Massimo Annati

 

Le mine e le contromisure mine (MCM) hanno vissuto diverse stagioni. All’inizio c’erano solo i dragamine. Unità costruite in legno per avere una minor segnatura magnetica, che trainavano le cosiddette sweeps, ovvero linee con cesoie esplosive per tagliare i cavi d’ormeggio delle mine, facendole così salire in superficie perché potessero venire distrutte, oppure linee con generatori acustici e/o magnetici per simulare il transito di una grossa unità navale, provocando così l’esplosione delle mine ad influenza. Inevitabilmente i dragamine dovevano transitare attraverso il campo minato, esponendosi al rischio di innescare così le mine che avrebbero dovuto rimuovere. Inoltre operavano senza avere preventiva conoscenza di dove fossero posizionate le mine, cercando di aprire corridoi sicuri dove le altre navi potessero poi transitare. A titolo di esempio, durante la Guerra di Corea la US Navy perse 4 dragamine, affondati dalle stesse mine che stavano cercando di dragare. L’avvento poi di mine ad influenza dotate di contatori, in modo cioè da non esplodere necessariamente al primo passaggio, oppure con sensori programmabili, in modo da selezionare un determinato tipo di bersaglio, oppure di alternare fasi attive e fasi di letargo, hanno reso l’attività dei dragamine sempre meno affidabile, dato che non era affatto certo che dopo il loro passaggio il canale d’accesso fosse divenuto veramente sicuro. Oltre a ciò, i dragamine stessi operavano in condizioni molto rischiose, non più accettabili nel mondo post-bellico. Si è così arrivati ai cacciamine, prima attraverso la trasformazione di alcuni dei dragamine pre-esistenti, e poi con la massiccia costruzione di unità specializzate con scafo in composito o - più raramente - in acciaio amagnetico o in alluminio. I cacciamine scoprono la presenza di eventuali mine attraverso l’impiego di sonar a profondità variabile (Variable Deep Sonar, VDS) e/o di veicoli subacquei telecomandati (Remote Operated Vehicle, ROV). Una volta scoperte le mine, provvedono ad eliminarle con l’impiego di sommozzatori o di ROV che depositano cariche esplosive sulla mina stessa, tornando a bordo della nave prima dell’esplosione. In tal modo i cacciamine operano in prossimità della minaccia, senza necessariamente passare sopra le mine (sempre che il sonar sia riuscito a scoprirle…). Per contro, dovendo resistere ad esplosioni ravvicinate, lo scafo dei cacciamine ha forme tondeggianti, che impongono alcune limitazioni d’impiego (basse velocità e poca stabilità al rollio). Inoltre le operazioni di MCM richiedono molto tempo, visto che per ogni oggetto simile ad una mina che viene individuato si deve ricorrere a mettere in mare un ROV e a fargli svolgere l’intero ciclo di avvicinamento, riacquisizione, classificazione, identificazione, posa carica esplosiva, ritorno verso la nave e recupero. Il tempo necessario è difficilmente compatibile con l’avanzamento delle operazioni e, nel caso di un campo minato con decine di ordigni, i tempi sono estremamente lunghi. Le operazioni notturne o con condizioni meteo sfavorevoli sono spesso un impedimento al normale svolgimento delle attività visto che la messa a mare ed il recupero dei mezzi richiede comunque stabilità, visibilità e grande perizia marinaresca. Il desiderio di ridurre ulteriormente il rischio per navi ed equipaggi e la contemporanea necessità di accelerare le operazioni hanno portato gradualmente verso un’altra soluzione. Le unità di contromisure mine stanno diventando delle vere e proprie navi-madre che trasportano e impiegano numerosi tipi di mezzi unmanned, mantenendosi al di fuori dell’area di pericolo.

Tutto l'articolo disponibile su RID 4/20. 


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