Alla 69ª Sessione dell'Assemblea Generale dell'ONU da poco conclusasi, i riflettori degli Stati parte della coalizione anti-ISIL a guida USA sono stati puntati sulla necessità di combattere la piaga del terrorismo sotto la bandiera della promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sull’imperativo di fermare la polarizzazione della violenza bruta generatrice di ulteriori divisioni, sull’opportunità di un maggior dialogo inter-etnico e inter-religioso basato sui valori di giustizia, rule of law, uguaglianza, prosperità, compassione e misericordia, quali concreta ricetta contro il settarismo e punto forte del meccamismo di prevenzione del conflitto nella regione. L’unico atto votato è stata la Risoluzione n. 2178 del Consiglio di Sicurezza sui cosiddetti FTF (Foreign Terrorist Fighters) che vincola gli Stati a bloccare il flusso di jihadisti stranieri, molti occidentali, che vanno a combattere in Siria e in Iraq e poi ritornano in patria portando lessons learned e proselitismo. Numeri alla mano, sono stati calcolati in almeno 15.000 i jihadisti stranieri da oltre 80 Paesi andati solo in Siria negli ultimi anni e almeno 3.000 cittadini europei.
Di terrorismo nucleare non si è parlato. Non lo hanno fatto gli Stati sunniti della coalizione (Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Giordania), né gli USA e la UE, né gli storici alleati americani (UK, Australia, Giappone), né i diretti interessati (Iraq e Siria). Solo Damasco ha sottolineato come, su iniziativa del Presidente russo Putin, la Siria abbia ratificato la Convenzione sulla proibizione delle Armi Chimiche (CWC), come primo passo per la realizzazione di un MEWMDFZ (Middle East Weapons of Mass Destruction Free Zone). Tale argomento merita un approfondimento sia storico sia di status quo.
Il pericolo del nucleare militare è stato associato a 2 aspetti strategici: 1) in termini di proliferazione, al programma atomico iraniano, in particolare al mantenimento di un numero eccessivo di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio e agli impianti di acqua pesante utili per la produzione di plutonio (Arak); 2) in termini di disarmo, al bilaterale USA-Russia sulla riduzione dei reciproci arsenali nucleari nel rispetto dei vincoli imposti dal Trattato di Non-Proliferazione (NPT) e che, vista la situazione Ucraina, è in totale stallo, come tutti i dibattiti internazionali sul disarmo nucleare ormai da oltre 10 anni.
Solo il Premier israeliano Netanyahu, nel bocciare senza mezzi termini i “negoziati 5+1” sul nucleare iraniano e la richiesta USA all’Iran di entrare in coalizione contro l’ISIL, ha sottolineato come lasciare nelle mani di Teheran il processo di arricchimento dell’uranio rischierebbe di mettere a disposizione di qualche gruppo terrorista tecnologia utile per costruire bombe radiologiche ovvero bombe sporche. Ma neanche Israele è arrivato al punto di parlare di bomba atomica nelle mani dell’ISIL.
Eppure, il Ministro dell’Interno britannico Theresa May, alla Conferenza “Securing a Better Future” del Partito Conservatore, oltre ad annunciare la riforma del “stop and search” della Polizia, ha sottolineato - al minuto 12’ del suo intervento - il rischio che se l’ISIL dovesse consolidare la propria presenza in Siria e Iraq potrebbe presto dotarsi di armi chimiche, biologiche “or even nuclear” con le quali colpire l’Occidente. Si tratta di una mossa politica per aumentare il consenso sul “Migration Bill”, per uscire a novembre con un nuovo “Counter-Terrorism Bill”, per dare nuove risorse al “Counter-Terrorism and Policing Budget” e alle Agenzie di sicurezza e intelligence, nonché per dotare le forze di polizia e di sicurezza di nuovi e più evoluti equipaggiamenti.
Tecnicamente, la possibilità che l’ISIL possa dotarsi a breve della bomba atomica sono prossime allo zero. In modo sintetico, i motivi sono:
Come erroneamente si sente dire, non basta avere i soldi per comprarsi una bomba nucleare o, meglio, tutta la tecnologia e il combustibile per assemblare una bomba. Sono indispensabili: capacità di operare sul mercato nero del combustibile e della componentistica (parte di quest’ultima si può comprare sul libero mercato come tecnologia dual-use), contatti con brokers export-led, assenza totale di qualsiasi marking o tracing su materiali non facilmente commercializzabili, conoscenza tecnico-scientifica di alto valore per assemblare e mantenere attiva o in stato di alert una bomba, nonché una logistica all’avanguardia. Queste sono dotazioni minime. L’ISIL è un 2.0 sul convenzionale, l’asimmetrico e sulle TTPs (Tactics Techniques and Procedures), ma è scarsa per capacità non-convenzionali.
Le priorità di finanziamento dell’ISIL sembrano essere più orientate ai rifornimenti di beni primari, di armi, di mercenari o contractor, utilizzo dell’ICT (Information and Communication Technology) e programmi “socio-educativi”. Secondo le ultime stime, i raid effettuati avrebbero colpito circa il 20-30% della capacità di autofinanziamento (pozzi petroliferi, raffinerie, centrali elettriche, depositi di stoccaggio e villaggi che potevano essere fonte strategica di beni primari, proselitismo e territorialità da sfruttare).
Un’agenda di sviluppo e possesso di un’arma nucleare, oltre ai pilastri delle risorse finanziarie e sviluppo tecnologico, necessita di una capacità di trasferimento e di un qualificato capacity building. In entrambi i casi - ricordando che l’Iraq e la Siria sono NNWS (Non-Nuclear-Weapon State) firmatari del NPT e membri vincolati al regime delle salvaguardie dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) - visto che l’ISIL è legato ad una forte territorialità e spazialità proprio in questi 2 Stati, appare più che ragionevole pensare alla quasi impossibilità logistico-amministrativa di creare le condizioni anche solo per dare il via alle prime attività di assemblaggio della bomba. Se ciò per qualcuno può non avere alcun significato, viste le continue violazioni del diritto internazionale e degli impegni vincolanti, diciamo che nel sistema nucleare militare gli Stati si dividono in 3 categorie: quelli dotati di armi nucleari (NWS), quelli con conoscenze nucleari e impianti per poterle sviluppare e che sono fornitori di tecnologie per il nucleare civile, e quelli che non hanno (o non dovrebbero avere) la capacità di costruirle. La Siria rientra nella III categoria, mentre l’Iraq potrebbe rientrare ufficiosamente nella II categoria. Il reattore iracheno Osiraq - in grado di alimentare decine di unità Emis per l’arricchimento con il metodo della separazione elettromagnetica e fornire combustibile da ritrattare - fu distrutto nel 1981 dai bombardieri israeliani. Il programma nucleare iracheno ebbe nuovo impulso con la costruzione di nuove unità Emis e con la ricerca nel settore delle centrifughe a gas, ma fu smantellato con la Guerra del Golfo nel 1991. Cosa sia sopravvissuto delle capacità nucleari irachene è difficile dirlo. Di certo sappiamo che il programma nucleare era molto avanzato tanto da consentire agli iracheni di costruire proprie testate, che Baghdad ricevette 12 kg di uranio arricchito al 93% e, prima del 1991, acquistò 13 Kg di uranio arricchito all’80% dall’URSS, che l’Iraq possiede know-how per la costruzione di armi nucleari e che non vi è certezza assoluta sulla fine di molte unità Emis. A ciò aggiungiamo che l’Iraq è un failed-State, quindi con assetti politico-istituzionali e militari da ricreare.
Avere una bomba senza possedere il vettore di lancio è un non senso tecnico. Il possesso della missilistica e dei sistemi di lancio non appare al momento una priorità dell’ISIL. Ritornando al punto precedente, l’Iraq dispone di un certo numero di SCUD, del tipo sovietico ma migliorati, con gittata di corto raggio, pari a circa 700 Km, e in grado di trasportare bombe atomiche anche poco raffinate.
Una volta assemblata, una bomba nucleare (su base geostrategica, una bomba non serve a nulla, ne servono molte di più per essere un veicolo di messaggio e avere effetti di deterrenza) deve essere stoccata in un’apposita struttura, meglio se sotterranea o sub-sotterranea. Ciò richiede, oltre che molto tempo, visibilità e un’area piuttosto ampia, elevate capacità di costruzione, gestione dell'impiantistica industriale, realizzazione e conduzione di laboratori specializzati, aree di stoccaggio del combustibile, macchinari per l’elettronica, neutronica, chimica, ecc., tecnologie di movimentazione, verifica, controllo e analisi e, pertanto, continui movimenti esterni necessari a gestire la multi-struttura. Se poi l’ISIL volesse dividere la struttura in diverse località, si ridurrebbe la facilità di strike diretto, ma renderebbe impossibile coniugare i passaggi della catena nucleare in stato di guerra.
Il sistematico impiego da parte della coalizione internazionale dei sistemi di sorveglianza, riconoscimento, controllo satellitare, intelligence sul terreno, uso dei “spifferatori”, ecc. costituisce un altro fattore limitante delle eventuali velleità nucleari di ISIL.
Diverso il discorso relativamente alla cosiddetta “bomba sporca” o radiologica. Ad oggi sappiamo che – secondo la lettera indirizzata l’8 luglio 2014 dal Rappresentante permanente iracheno all'ONU Mohamed Ali Alhakim, al Segretario Generale Ban Ki-moon – l’ISIL avrebbe rubato circa 40 kg di composti di uranio dall’Università di Mosul. Si tratta di materiale a scarsissimo livello di arricchimento e molto sporco e degradato, perché utilizzato anni fa per attività di ricerca. Tale materiale potrebbe, se trattato, essere impiegato per fabbricare una bomba sporca o radiologica combinandolo con altri agenti e una carica detonante in rudimentali ordigni, tipo “bombolone”, montabili su razzi. ISIL non sembra, però, avere le competenze per trattare ed utilizzare il materiale uranifero sporco, anche se potrebbe sempre acquisirle dall'esterno. Un'eventuale utilizzo di ordigno del genere su Baghdad, tanto per fare un esempio, avrebbe un impatto significativo costringendoad evacuare almeno metà della città.
Al di là della disponibilità dell'uranio, c'è da dire che ISIL avrebbe comunque la possibilità di impiegare radioisotopiradioattivi, come il cobalto 60, il cesio 137 o lo stronzio 90, eventualmente ottenibili in un qualunque reparto radiologico di un ospedale, per realizzare anche in questo caso bombe sporche mediante le stesse modalità. Gli effetti, però sarebbero esponenzialmente inferiori e potrebbero essere facilmente contenuti.