RIVISTA ITALIANA DIFESA
Intervista al Gen. Claudio Graziano 05/02/2020 | Pietro Batacchi

Complice la sua presenza a Roma per un’audizione parlamentare, abbiamo incontrato il Gen. Claudio Graziano – Presidente del Comitato Militare dell’UE – con il quale ci siamo intrattenuti per questa chiacchierata sui principali temi che riguardano l’Europa e la difesa. Al Generale ci lega una lunga consuetudine. Ci siamo incrociati per la prima volta a Kabul, ai tempi della prima ISAF e della Kabul Multinational Brigade, e poi ancora in Libano, in un’assolata Naquoura quando il Gen. Graziano comandava la missione UNIFIL subito dopo la guerra tra Israele ed Hezbollah del 2006. Dopo di allora altre occasioni, ma...più “domestiche”. E’ stato, dunque, un pacere tornare a confrontarsi e farlo su questioni fondamentali per il futuro e la sicurezza del Vecchio Continente. La versione integrale dell’intervista sarà disponibile su RID 3/20.

Generale, ben ritrovato, innanzitutto. A che punto siamo con l’edificazione di una dimensione europea della difesa?

Ben ritrovato anche a lei. Una premessa. Il concetto e l’idea della difesa europea erano già nella mente dei padri fondatori che volevano creare qualcosa che superasse veramente le divisioni dopo i lutti e le tragedie della Seconda Guerra Mondiale e che consentisse all’Europa di avere un ruolo sulla scena globale. Tuttavia negli ultimi anni, con il cambiamento del quadro strategico e con i mutamenti registratisi anche in ambito NATO, c’è stato un rilancio della difesa europea che come abbiamo visto si è concretizzato, e si sta concretizzando, con numerose iniziative e con la formalizzazione della “EU Global Strategy” del 2016. Un documento, quest’ultimo, nel quale a chiare lettere si esplicita il fatto che la politica di difesa è un elemento essenziale, e non più ancillare, dell’Unione Europea.

Dunque, uno spazio maggiore per l’UE…

Per l’UE si è creato uno spazio di azione sul fronte del crisis management che è essenzialmente dovuto a quei grandi cambiamenti a cui abbiamo assistito dal 2011 in avanti ed al fatto che la NATO, a seguito del disimpegno dall'Afghanistan, si è focalizzata di nuovo sulla difesa collettiva. Del resto quando si creano dei vuoti, altri attori li riempiono. L’UE vuole essere da questo punto di vista sempre più un fornitore di sicurezza internazionale ed un attore capace di gestire le crisi internazionali. Ma gestire le crisi internazionali significa possedere tanto risorse politico-diplomatiche ed economiche quanto risorse militari secondo un approccio autenticamente integrato. Insomma, l’UE deve essere capace di mobilitare tutte le leve del potere. Ecco perchè è necessario rafforzare gli strumenti operativi e militari a disposizione dell’UE, a cominciare da una struttura di comando e controllo capace di gestire le forze, poiché se è vero che non esiste una soluzione militare alle crisi, è anche vero che non c’è una una soluzione alle crisi senza i militari.

Su questo punto torneremo in maniera più specifica dopo. Adesso restiamo sulla questione dell’autonomia strategica dell’Europa. Non c’è il rischio che questa “faccia a pugni” con la NATO?

Direi di no, anzi. Ripeto, oggi si è creato uno spazio sul fronte del crisis management che l’UE vuole e deve riempire. Da questo punto di vista autonomia strategica non significa essere in competizione e “staccati” dalla NATO, ma essere capaci di agire da soli se necessario. La NATO, come dicevo, si sta concentrando sulla difesa collettiva e sullo spettro più alto delle operazioni e della conflittualità militare, e sta guardando soprattutto ai teatri settentrionale ed orientale. Per cui si crea uno spazio a sud dove l’UE può giocare un ruolo da protagonista, in un’ottica di sinergia e complementarità tra le 2 organizzazioni. Una sorta di divisione dei ruoli e dei teatri operativi? Non direi poiché non c’è ad oggi una cooperazione strutturata e sistematica in tal senso. Parlerei piuttosto di un dato di fatto. Il sud, a partire soprattutto dal 2011, è afflitto da una grave crisi di stabilità che ha dato, e sta dando, origine ad una serie di minacce – dall’immigrazione illegale, al terrorismo, passando per la criminalità – per affrontare le quali occorre mobilitare tutte le leve di potere di cui parlavo in precedenza. A fronte di ciò, come dicevo, la NATO sta guardando sempre più ad est, mentre gli Stati Uniti hanno da tempo spostato il loro baricentro strategico in Asia. Se a ciò aggiungiamo la necessità da parte dell’ONU di poter contare su un’organizzazione regionale per affrontare tale instabilità, è evidente che l’UE deve assumersi maggiori responsabilità mettendo in campo tutte le risorse necessarie a reagire a fronte di un sud ormai in perenne ebollizione.

Veniamo agli strumenti. Partiamo dal comando e controllo. A che punto siamo con la creazione di una struttura europea?

Originariamente il cosiddetto pacchetto “Berlin Plus” (l’accordo tra UE e NATO del 2002 nda) prevedeva l’utilizzo da parte dell’Unione Europea delle strutture NATO, ma la questione di Cipro ed il principio dell’unanimità non ci permettono di impiegarle. Per tale ragione la UE deve avvalersi oggi di strutture nazionali. E’ il caso, per esempio, del COI per l’Operazione SOPHIA o del Comando di Rota per l'Operazione ATALANTA. Tuttavia, si è deciso di mettere in piedi pure una capacità di C2 autonoma con una struttura, ancora in fase embrionale, denominata MPCC (Military Planning and Conduct Capability), inserita nell’EU Military Staff (EUMS) e retta da un ufficiale generale a 2 stelle. Al momento, tale struttura è in grado di gestire solo missioni a livello addestrativo, ma l’obbiettivo è rafforzarla e far sì che in paio di anni possa gestire un'operazione “esecutiva” a livello battle group elevandola nel contempo a comando 3 stelle indipendente dall’EUMS. Un comando a tutti gli effetti, insomma, formato da non meno di 300-400 persone.

Per quanto riguarda le capacità ed il Fondo Europeo per la Difesa, secondo lei di cosa ha bisogno l’UE?

Le capacità sono quelle indicate negli Headline Goals. Per cui non c’è niente da inventare se dico che l’UE ha bisogno di droni, assetti da sorveglianza in generale, strumenti per la guerra cibernetica, reti network-centriche, ma anche di trasporto strategico. L’altro aspetto che vorrei sottolineare, inoltre, è che non ci possiamo permettere 3 elicotteri da combattimento, 3 caccia, ecc., poiché così si sprecano risorse ed alla fine si è pure meno efficaci. E’ necessario in tal senso cooperare e sviluppare grandi programmi di acquisizione congiunti.

Questo discorso vale anche per il carro?

Assolutamente sì. L’MBT è un mezzo fondamentale per garantire la sicurezza e la protezione del personale e dei contingenti in teatro, a maggior ragione se pensiamo a scenari sempre più ibridi ed a più alto contrasto militare.

Chiudiamo con 2 questioni di grande attualità: l’E2I e la Libia. Partiamo dalla prima, non c’è il rischio che la European Intervention Initiative francese sia in contrasto con quanto sta facendo l’UE in campo difesa?

Prima di rispondere una premessa. L’E2I non è formalmente collegata con la difesa europea. Dopodichè la mia risposta alla sua domanda è assolutamente no. Anzi, valuto in maniera positiva l'iniziativa francese perché il concetto di aggregare una serie di Paesi europei dotati di maggiore risorse militari e con capacità di reazione superiori è corretto e costituisce uno stimolo per l’Europa. Oltretutto, la E2I, o iniziative analoghe, consentono di superare gli attuali limiti organizzativi dell’UE, legati principalmente ai meccanismi di funzionamento per consenso/unanimità. Infine, dentro all’E2I c’è pure il Regno Unito: un fattore che ritengo molto importante sia per questioni legate alle capacità sia per gli aspetti di cooperazione industriale. Londra deve restare legata alla difesa europea!

La dolente nota libica...

La UE deve avere un ruolo importante in Libia. Mi limito da questo punto di vista semplicemente a ricordare quanto già affermato in più occasioni dall’Alto Rappresentante Josep Borrell ed a ribadire che c’è in questo momento la volontà di operare in maniera più assertiva.

Non è tardi?

E’ tardi, ma non troppo tardi. D’accordo, molte volte in passato gli attori europei sono andati in ordine sparso sulla Libia, con i risultati sotto gli occhi di tutti, ma adesso è giunto il momento che l’UE si guadagni uno suo spazio di azione ed operazione ripartendo per prima cosa dall’Operazione SOPHIA, di cui auspico nel più breve tempo possibile la riattivazione della componente navale, e dal suo mandato che, non dimentichiamo, con il consenso della autorità locali e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, consentirebbe all’UE di operare fin nelle acque territoriali e in territorio libico. Del resto SOPHIA rappresenta uno dei pochi “momenti” in cui l’Europa ha parlato con una voce sola.


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