Gli esiti della tanto attesa Conferenza di Berlino sulla Libia sono stati accolti generalmente in maniera favorevole, ma le incognite sul futuro della guerra civile che dilania il Paese restano ancora molte, forse troppe. Il risultato più concreto ottenuto dalla Cancelliera Merkel è la creazione di un Comitato Militare congiunto, che dovrebbe riunirsi a Vienna a partire dal 27 gennaio, incaricato di tracciare le linee del cessate il fuoco e monitorarle. A quel punto nel Paese potrebbe essere dispiegata una missione di stabilizzazione europea sotto mandato ONU, di cui però nel documento approvato a Berlino non si fa menzione perchè altrimenti Haftar non lo avrebbe accettato. Il resto sono impegni generici, come quello sull'embargo di armi al Paese. Nulla di vincolante, l'embargo è lasciato alla "buona volontà" dei singoli Paesi, anche se sono previste delle sanzioni da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU in caso di sue violazioni. Altrettanto generica la richiesta per il disarmo e la smobilitazione di tutte le milizie, le vere protagoniste del conflitto libico. In definiva il pallino resta in mano ai signori della guerra libici, ed al trio Putin, Erdogan, Al Sissi, con buona pace dell'Europa, che hanno una presenza militare sul terreno da far valere alla bisogna. Al momento Haftar ha una posizione di forza essendosi spinto nel cuore della Tripolitania, ma a Serraj restano comunque la capitale, dove vivono un terzo dei Libici, ed un importante porto come Misurata, più alcuni assetti energetici strategici. In queste condizioni il lavoro del Comitato Militare per la demarcazione delle linee di cessate il fuoco non si profila affatto facile, anche perchè in questa fase Haftar difficilmente accetterebbe di ritirare troppo indietro le proprie truppe e milizie. Siamo di fronte, pertanto, ad una situazione sul terreno per cui – per arrivare veramente ad un cessate il fuoco duraturo – le milizie filo-Serraj dovrebbero avanzare per riequilibrare i rapporti, ma non hanno la forza per farlo, mentre Haftar non è in grado di prendere la capitale e "domare" Misurata. Uno stallo, insomma, che potrebbe restare tale ancora per molto tempo, fino a cristallizzarsi in una ripetizione dello scenario siriano-libanese-iracheno, ovvero in una divisione in sfere d'influenza di un Paese che non c’è più.