RIVISTA ITALIANA DIFESA
Continua la guerra a ISIL 06/10/2014 | Andrea Mottola

La campagna di raid aerei contro ISIL è entrata nella sua seconda settimana e sono diversi gli elementi d’interesse emersi da questi primi 10 giorni di bombardamenti. Il primo è la composizione delle forze aeree che partecipano ai raid. L’offensiva contro ISIL in Siria ha visto la nascita di una coalizione formata da paesi occidentali e da alcuni Paesi del Golfo, intravista per la prima volta nelle operazioni in Libia nel 2011, quando Emirati e Qatar si unirono ai bombardamenti contro le forze di Gheddafi. Le aeronautiche di questi paesi sono ampiamente attrezzate per cooperare all’interno di una coalizione guidata dalle forze aeree americane, essendo composte quasi esclusivamente da velivoli statunitensi ed equipaggiate con armi di provenienza occidentale. Bahrein, Emirati e Giordania, infatti, operano tutte sul caccia F-16, spina dorsale della stessa USAF e ciò accresce enormemente l’interoperabilità tra queste forze aeree. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che i raid siriani potrebbero fungere da banco di prova per le aviazioni arabe nel caso in cui, nei prossimi anni, dovessero rendersi necessarie operazioni simili nell’area mediorientale e nordafricana. L’inaspettata sortita dei caccia emiratini del mese scorso contro obiettivi delle milizie islamiche libiche sottolinea un trend emergente nei Paesi del Golfo verso una maggior disponibilità all’utilizzo dei propri aerei per interventi all’estero, anche a fronte di un semi-disimpegno delle forze euro statunitensi dalla regione. E’ vero che ai piloti delle nazioni arabe manca una certa esperienza di combattimento e ciò spiega perché nei primi 2 giorni di raid in Siria oltre il 90% delle armi sganciate proveniva da aerei americani. Nei giorni successivi, tuttavia, la percentuale si è progressivamente ridotta e i velivoli arabi hanno spesso superato in numero quelli statunitensi. Nello specifico, l’Arabia Saudita partecipa ai raid con 4 F-15S STRIKE EAGLE, di stanza a Tabuk, ed una aerocisterna A330MRTT, mentre non esistono conferme riguardo l’impiego di TORNADO e TYPHOON. Dalla base giordana di King Hussein, operano 6 F-16A BLOCK 15 giordani impiegati in missioni di attacco al suolo con bombe a guida laser PAVEWAY II. Accanto ai FALCON giordani, dalla stessa base operano 2 F-16C BLOCK 40 bahreiniti e 4 F-16E DESERT FALCON BLOCK 60 degli EAU, versione più recente del caccia americano, appositamente realizzata per il cliente emiratino. Gli F-16E sono dotati di radar AESA APG-80, di un nuovo motore F110-GE-132, di conformal tanks da 1023 litri ciascuno, di un sistema di navigazione e acquisizione obbiettivi integrato e di una eccellente suite di armamenti aria-suolo, come i missili AGM-65 MAVERICK e AGM-88 HARM. Molto sfumata la partecipazione del Qatar alle operazioni limitate, al momento, ad alcuni voli di ricognizione da parte di una coppia di MIRAGE 2000. Per quanto riguarda l’impegno dei Paesi occidentali facenti parte della coalizione (si è già trattato del massiccio dispositivo aereo statunitense impiegato nei raid), la Gran Bretagna, come avevamo anticipato, ha ottenuto il voto favorevole della Camera per unirsi ai raid ai quali partecipa con 6 TORNADO GR.4 di stanza nella base cipriota di Akrotiri. Dal 29 settembre i cacciabombardieri britannici hanno sganciato diversi missili BRIMSTONE e bombe a guida laser PAVEWAY IV contro postazioni di artiglieria e veicoli corazzati nella zona del Kurdistan iracheno, a supporto delle operazioni di terra effettuate dai Peshmerga. Nell’ambito dell’operazione CHAMMAL, il 24 settembre anche i RAFALE francesi, di stanza ad Al-Dhafra, hanno preso parte ai bombardamenti contro obiettivi di ISIL in Iraq, seconda sortita dopo quella del 19. Ai 6 RAFALE attuali se ne aggiungeranno altri 3 nei prossimi giorni, mentre nel Golfo è in arrivo anche una fregata della Marina francese. Insieme a Italia e Germania, inoltre, la Francia è uno dei paesi che ha contribuito maggiormente al foraggiamento di armi ed equipaggiamenti per le forze curde. Il Belgio partecipa con 6 caccia F-16AM e 2 aerei da trasporto C-130, schierati nella base giordana di Shaheed Mwaffaq. Anche Danimarca e Olanda invieranno i propri F-16 (7 e 6 velivoli rispettivamente), che opereranno in missioni sull’Iraq; l’Olanda invierà anche una squadra di advisors per una missione di addestramento delle forze curde e irachene della durata di un anno. L’Australia è presente con 8 caccia SUPER HORNET e un’aerocisterna KC-30A schierati presso la base emiratina di Al-Minhad, dove nei prossimi giorni arriveranno anche gli HORNET canadesi (tra i 4 e i 6 aerei).

Un altro elemento d’interesse emerso dai raid è quello tattico/strategico. Mentre i bombardamenti contro le postazioni di ISIL in Iraq hanno una connotazione tattica, essendo mirati a fornire un po’ di “respiro” alle forze irachene (governative e Peshmerga) fin quando non saranno in grado di lanciare una controffensiva per eliminare ISIL dal territorio iracheno, i raid siriani hanno una connotazione maggiormente strategica. I TOMAHAWK lanciati contro il gruppo di Khorasan nella prima notte di bombardamenti, ad esempio, hanno rappresentato una misura preventiva contro un gruppo che sembrava pronto ad effettuare attentati in Europa e Stati Uniti. Allo stesso modo, l’attacco sferrato contro 12 raffinerie modulari, che producevano tra i 300 e i 500 barili di greggio al giorno, è servito ad annientare la principale fonte di autofinanziamento del califfato. Da un punto di vista di valutazione del rischio si può dire che, a differenza degli attacchi aerei contro gli obiettivi iracheni di ISIL, i bombardamenti della coalizione in territorio siriano hanno criticità politiche e militari decisamente maggiori. In Iraq, infatti, il rischio viene ridotto dal fatto che l’intervento è stato ufficialmente richiesto dal nuovo Governo iracheno, mentre non si può certamente dire lo stesso nel caso siriano. Data la guerra civile in corso e i sospetti del Presidente Assad che l’offensiva aerea possa rappresentare un’anticipazione di un attacco diretto al suo regime, il Governo siriano aveva messo in guardia gli Stati Uniti e la coalizione che qualsiasi azione militare contro le proprie forze sarebbe stata considerata un atto ostile. Vero è che il Governo siriano è stato informato poco prima dell’avvio delle operazioni, anche se Washington nega di aver chiesto l’approvazione di Damasco. Col regime Assad, infatti, non dovrebbe esistere alcuna forma di collaborazione ufficiale, anche se è difficile ritenere verosimile questa eventualità. Peraltro, la campagna aerea finora si è concentrata esclusivamente sull’eliminazione di obiettivi appartenenti ad ISIL, Al-Nusra e ad altri gruppi ribelli nemici del regime. Anche a livello militare i rischi dell’operazione siriana sono decisamente amplificati rispetto alla missione in Iraq. In entrambi i paesi i miliziani di ISIL hanno accesso a sistemi portatili di difesa aerea (MANPADS), efficaci fino a 15.000 piedi (poco più di 4.500 metri). Ciò significa che in Iraq gli aerei della coalizione possono volare in un ambiente relativamente tranquillo, forti dell’autorizzazione del Governo iracheno ad operare nel proprio spazio aereo, mentre ciò non avviene in Siria, quantomeno non ufficialmente. Per cui, oltre ai MANPADS, i piloti alleati devono considerare la minaccia proveniente dalla sofisticata rete di difesa aerea siriana (MiG inclusi), considerata estremamente temibile (basterebbe ricordare quanto accaduto ad un RF-4E turco un paio d’anni fa). Questo elemento contribuisce a spiegare, in parte, la scelta di utilizzare gli F-22 RAPTOR, altro aspetto emerso dai questi raid e meritevole di un approfondimento. Com’era prevedibile, è stata data grande attenzione al battesimo del fuoco dell'F-22. Inizialmente non era chiaro se i velivoli schierati (tra 2 e 6) partecipassero alle operazioni unicamente con compiti di scorta ai caccia USA e alleati, contro possibili minacce provenienti dall’Aeronautica Siriana, o prendessero attivamente parte ai bombardamenti. Le informazioni confermano l’utilizzo dei RAPTOR anche in missioni di attacco al suolo (armati con 2 JDAM GBU-32 con guida GPS, oppure con 8 SDB GBU-39/B, 4 in ogni baia interna), per colpire bersagli particolarmente sensibili, soprattutto nella zona di Aleppo contro le postazioni di Al-Nusra e a Raqqa contro un centro di comando e controllo di ISIL. I velivoli, inoltre, vengono utilizzati in missioni ISR, grazie alla potente suite di sensori che gli consentono di acquisire informazioni estremamente dettagliate del campo di battaglia, condivisibili in tempo reale con altri F-22. Lo schieramento dei RAPTOR è stato da alcuni considerato come uno spot promozionale. In realtà tale interpretazione sembrerebbe priva di fondamento, tenuto conto che il programma F-22 è chiuso dal 2011 e che non esistono potenziali acquirenti a cui dimostrare le potenzialità del velivolo. Più probabilmente, i RAPTOR sono stati impiegati con l’obiettivo primario di testarne le capacità in combattimento, anche in un ambito da molti considerato poco adatto all’apparecchio, come l’aria-suolo. Un obiettivo secondario, potrebbe essere quello di voler mostrare ai russi (e magari anche a cinesi, iraniani e nord coreani) le capacità dei RAPTOR di penetrazione in difese aeree estremamente temibili e avanzate, come quella siriana, creata proprio col supporto e l’assistenza dei russi. Indubbiamente l’utilizzo del F-22 sui cieli siriani non può essere considerato a “costo zero”, tenuto conto che la sofisticata rete di difesa aerea siriana, rischia di rivelare dettagli sensibili su dati e segnatura radar del velivolo.

Passando ai numeri, fino ad oggi sono state effettuate 344 sortite contro gli obiettivi di ISIL, 95 in territorio siriano e 249 in territorio iracheno. Le zone colpite sono la Siria settentrionale (Aleppo, Sinjar) e orientale (Raqqa, Deir Ezzor). Negli ultimi giorni, inoltre, ci sono stati diversi raid nella zona di Kobane, città curda situata a pochi chilometri dal confine con la Turchia e recentemente bersagliata da razzi lanciati dai militanti di ISIL. Anche per questo motivo Ankara ha schierato una ventina di vecchi carri armati M-60 su una collina che sovrasta la città e sembra si stia preparando ad intervenire dopo che il proprio Parlamento ha autorizzato il Governo ad impiegare la forza per creare una zona cuscinetto in Siria e Iraq. In quest'ultimo, il grosso dei raid è stato effettuato nella zona del Kurdistan (Kirkuk, Rabia e intorno alla diga di Mosul,riconquistata dalle forze curde), nell’area di Al-Qaim vicino al confine siriano e nelle zone intorno a Baghdad e Falluja. I bersagli consistono soprattutto in veicoli corazzati e pick-up armati con mitragliatrici pesanti, pezzi di artiglieria anti-aerea e carri armati, lanciarazzi, centri di comando e depositi di mezzi e munizioni, posti di osservazione e checkpoint. Il problema è che, in seguito alla campagna aerea, i militanti di ISIL sono ora maggiormente dispersi sul territorio e tale cambiamento potrebbe portare ad una revisione della strategia delle forze americane che potrebbero optare per attacchi effettuati da velivoli meno rapidi rispetto ai vari B-1, F-15, F-16 ed F-18, ma più adatti al supporto aereo ravvicinato per gli alleati “terrestri” della coalizione (Peshmerga, esercito iracheno e ribelli siriani “moderati”). Nello specifico: UAV REAPER, elicotteri AH-64 APACHE, AV-8B HARRIER (già presenti sulla LHD BATAAN) e, soprattutto, A-10 WARTHOG, probabilmente già rischierati in una base nei pressi di Erbil.

Per ulteriori approfondimenti rimandiamo allo speciale sul prossimo numero di RID (11/2014) in edicola dal 27 ottobre.


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