Il 10 settembre, l’USAF ha effettuato un massiccio raid sull’Isola di Qanus (provincia di Salah ad-Din), situata sul fiume Tigri, 280 km a nordovest di Baghdad e 160 km ad est del confine siriano. L’attacco, eseguito con l’approvazione del Governo iracheno ed in supporto ad un battaglione dell’unità antiterrorismo iracheno (Counter Terrorism Service - CTS), si sarebbe reso necessario per impedire al Daesh di consolidare la presenza sull’Isola dove si segnalava una cospicua presenza di combattenti del Califfato che utilizzavano Qanus come punto di transito per gli spostamenti di uomini e materiali tra Siria Orientale e Iraq (verso le città di Mosul, Makhmour e la regione di Kirkuk), nonché come hub per lo svolgimento di alcune attività sul suolo iracheno (imboscate, attacchi suicidi). Qanus si presterebbe a tali attività perché lontana dail “range di pattugliamento” delle Forze di Sicurezza irachene, ammesso e nient’affatto concesso, che queste ultime abbiano la capacità ed i mezzi per effettuare una sorveglianza capillare sul territorio e su un’Isola che, peraltro, non vedeva la presenza stabile di personale civile. L’operazione ha visto il coinvolgimento di un numero imprecisato di cacciabombardieri F-15E STRIKE EAGLE e di F-35A LIGHTNING II, questi ultimi alla loro seconda missione con sgancio di ordigni, dopo il raid dello scorso aprile contro una rete di tunnel e depositi d’armi situati sulle montagne di Hamrin. In supporto ad F-15 ed F-35, hanno operato almeno un paio di droni per la copertura ISR, mentre altrettante aerocisterne KC-10 hanno rifornito STRIKE EAGLE e LIGHTNING. I caccia, decollati rispettivamente dalla base giordana di Muwaffaq al-Salti e da quella emiratina di al-Dhafra, hanno sganciato 36 t di bombe JDAM a guida GPS GBU-31/B per eliminare, in primis, la densa vegetazione dell’isola, elemento che favoriva l’imboscamento del nemico, ma anche strade e strutture varie (un deposito di armi - con razzi, RPG e IED - e coperture/fortificazioni naturali - tipo trincee e caverne - per un totale di 37 bersagli colpiti e 25 vittime tra i miliziani). Si è trattato, pertanto, di un cosiddetto attacco di “area denial”. Come detto, l’incursione si è svolta in coordinamento con l’attività di un battaglione del CTS, in particolare il 2° Battaglione ISOF, incaricato delle successive operazioni di “pulitura” dell’area. Tale raid dimostra che la campagna aerea contro Daesh non è affatto conclusa, nonostante una drastica riduzione nel numero di sortite che hanno previsto l’impiego di armi negli ultimi mesi (602 ordigni utilizzati tra aprile ed agosto inclusi, rispetto ai 3.512 del primo trimestre 2019, su un totale di 864 raid effettuati nell’anno). Daesh è ancora presente, sia in Siria che in Iraq, e la riduzione nel numero di militari americani nell’area, unita allo spostamento dell’attenzione di Washington verso la questione iraniana, potrebbero favorire la ripresa del fenomeno ISIS.