Alpini e fanti omaniti insieme per SUN MOUNTAIN, esercitazione che ha visto aliquote del Royal Army of Oman cimentarsi sulle cime abruzzesi con le Penne Nere del 9° Alpini della Brigata TAURINENSE. Accordi e scambi fra Repubblica Italiana e Oman non sono nuovi e, fra i memorandum sottoscritti da Roma e Mascate, uno (firmato a Roma il 23 marzo 2004) riguarda proprio la Difesa. Tre anni fa, inoltre, l’allora Ministro Roberta Pinotti si è recata in Oman per seguire da vicino l’esercitazione SUN MOUNTAIN 2016, svoltasi con la partecipazione di 120 militari dell’Esercito Italiano e che ha anche permesso agli Omaniti “di familiarizzare con mezzi ed equipaggiamenti di produzione nazionale” come si legge in una nota (difesa.it - 22 settembre 2016). Dunque, se da un lato esercitazioni bilaterali si susseguono già da qualche tempo, dall’altro è forse mancata l’opportunità di guardare da vicino come esse avvengano. Occasione che RID ha avuto nell’ultima settimana di giugno, vivendo le fasi salienti di SUN MOUNTAIN 2019. Il sole batte caldo sulla montagna aquilana e sotto gli equipaggiamenti la pelle suda e mantenere la concentrazione diventa difficile. Il film (“argomento” dell’esercitazione) ha al centro un hub avversario che cerca di destabilizzare il territorio in cui si opera. Il “nemico” occupa 2 aree: Monte Stabiata e l’anfiteatro naturale di Monticchio, entrambe località non distanti da L’Aquila. “Partiti appiedati dalla Caserma (Pasquali, nda) hanno svolto attività di pattuglia notturna e diurna, con osservazione, attacco e neutralizzazione dell’obiettivo. L’obiettivo era un team con funzione OPFOR (Opposing Force), cioè componente militare che ha compito di rappresentare il ‘nemico’ e della quale hanno fatto parte il plotone fucilieri della fanteria alpina, aliquote del Royal Oman Army e istruttori” spiega il Maresciallo Capo Agostina Pischedda, descrivendo ciò che è avvenuto fra domenica e lunedì sulle cime dello Stabiata. Qualcosa di unico nel vero senso della parola: l’assoluto realismo permette di muoversi, operare, reagire al fuoco in un contesto di stress per la notte trascorsa fra marcia e bivacco, per il clima (freddo nelle ore notturne, caldo asfissiante già di prima mattina), per il rumore delle piccole cariche e per l’ingombrante protezione. Già, perché si “tira” a munizione marcante, sorta di paintball evoluto che, se raggiunge parti scoperte, può lasciare lividi. E siccome la sicurezza è un chiodo fisso per l’Esercito testa, volto, braccia, addome e ventre molle sono rigorosamente protetti, anche a costo della sauna. La marcante è un’eccezionale strumento di formazione, semplice nell’uso ma imbattibile in addestramento. Un vero e proprio proiettile, dello stesso peso di quelli “reali”, compatibile con le armi di reparto opportunamente riadattate per lo scopo che, considerato il contesto nostrano, sono la mitragliatrice di squadra FN MINIMI e il fucile d’assalto Beretta ARX 160. Nei giorni di SUN MOUNTAIN non manca, tuttavia, di scorgere il celebre Steyr AUG A1 posto sopra la caratteristica Desert DPM (Disruptive Pattern Material) con i toni tendenti al rosso. Caratteristica perché il profondo legame, storico, con l’Inghilterra ha spinto nel corso degli anni Mascate a dotarsi di equipaggiamento made in England. Dal canto suo Londra, in virtù di un accordo stipulato nel 1958, provvede a seguire e a formare le locali Forze Armate (circa 100.000 unità, delle quali 25.000 delle Forze Terrestri). Vincoli decennali che, tuttavia, non impediscono al Royal Oman Army di intrattenere relazioni con altri eserciti occidentali: Italia, Stati Uniti e Francia. Torniamo a SUN MOUNTAIN. Giorno X dell’esercitazione; è il 27 giugno e tutto ciò che è stato appreso verrà messo in campo, testando l’operabilità dei militari dei due eserciti. E’ un momento delicato e importante, quindi trovarsi nel bel mezzo dello scontro aiuta ad avere una visuale a 360 gradi degli eventi. A differenza dello Stabiata a Monticchio si “scende”. La discesa dalla quota è il centro dell’azione che si articola in team di rocciatori che si calano per recuperare ostaggi e plotoni che scendono all’ “australiana” ovvero di corsa, agganciati a funi e facendo fuoco con l’arma in dotazione (i già citati ARX e Steyr). “Vertical warfare”: la verticalità della montagna è scuola per truppe che devono imparare a destreggiarsi in un ambiente duro e faticoso. Salire senza farsi notare, sotto il peso di equipaggiamento e arma, per poi lanciarsi verso il basso in una corsa durante la quale l’occhio sta attento agli speroni insidiosi e al pericolo rappresentato dal nemico di fronte. Che spara. Il film “racconta” una forza ostile concentrata nell’avvallamento, circondata e neutralizzata dai plotoni misti italo-omaniti che, liberatisi dell’imbrago, raggiungono rapidamente il campo avversario. “Busto in avanti e affidatevi alla corda, che non vi molla” ricorda l’istruttore di roccia ai discesisti “australiani”, aggiungendo che il rischio di caduta “c’è se rimanete dritti e se non vi concentrate nella discesa”. Poco più in là il Comandante del 9° Colonnello Paolo Sandri, il Comandante della Brigata TAURINENSE Generale Davide Scalabrin e un alto ufficiale omanita seguono le operazioni da un palco allestito poco distante.