RIVISTA ITALIANA DIFESA
L’Italia e i 70 anni della NATO 04/04/2019 | Alessandro Marrone

A 70 anni dal Trattato di Washington, firmato proprio il 4 aprile 1949, la NATO si è adattata ai cambiamenti del contesto internazionale, rimanendo necessaria e importante per l’Italia (e non solo) per diversi motivi. I governi italiani durante e dopo la Guerra Fredda hanno infatti trovato il modo di declinare gli interessi nazionali nel quadro dell’Alleanza Atlantica con una certa continuità, in almeno 4 direzioni. In primo luogo, nel quadro euro-mediterraneo, la NATO ha costituito quel forum multilaterale nel quale l’Italia, avendo di default un posto al tavolo decisionale ai vari livelli, ha potuto portare le proprie istanze per cercare il sostegno dei partner europei e nordamericani. Dall’allargamento dell’Alleanza verso i Balcani all’istituzione del Dialogo Mediterraneo già nel 1994, dalle missioni navali nel Golfo di Aden contro la pirateria e nel Mediterraneo in funzione anti-terrorismo, a quelle terrestri di stabilizzazione in Bosnia, Kosovo e Macedonia, fino alle recenti attività di defence capacity building in Tunisia, la NATO è stata un utile struttura – così come l’UE per altri versi - nel quale sviluppare iniziative politico-militari in linea con gli interessi italiani. Persino nell’ora più buia dei rapporti con gli alleati occidentali, quando nel 2011 Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decidevano una campagna aerea contro la Libia di Gheddafi, il subentro da parte NATO nella gestione delle operazioni con la missione UNIFIED PROTECTOR è servito all’Italia per limitare i danni ai propri assetti nazionali in territorio libico, e per partecipare alla direzione politico-militare della campagna accreditandosi così con la nuova leadership che stava emergendo a Bengasi. Senza l’affidamento dei bombardamenti al comando militare integrato NATO, chiesto e ottenuto da Roma in cambio della messa a disposizione delle basi sul proprio territorio nazionale, una campagna aerea portata avanti dai comandi nazionali di Parigi, Londra e Washington avrebbe portato a risultati peggiori per gli interessi italiani. In secondo luogo, a livello transatlantico, la NATO è stato un modo per rafforzare il dialogo con gli Stati Uniti, ritenuti un alleato fondamentale per la sicurezza dell’Europa e del Mediterraneo, nonché per il posizionamento strategico dell’Italia rispetto agli altri grandi Paesi europei – Francia e Germania in primis. Tramite l’impegno nelle missioni internazionali, le posizioni di vertice e mediane occupate da militari e civili italiani nelle strutture dell’Alleanza, e infine con l’ospitare in Italia basi e comandi NATO, il sistema-Paese ha stretto legami più forti e ampi con gli interlocutori statunitensi, che si sono rivelati utili per la politica estera e di difesa italiana. Non a caso, sia nell’intervento in Kosovo del 1999 che in quello in Afghanistan dal 2003 in poi, la dimensione americana della NATO è stata importante per l’Italia. In un contesto internazionale segnato da un crescente multipolarismo, da tensioni regionali e alleanze di convenienza e temporanee – come nei casi libico e siriano - l’Alleanza rimane un ancoraggio importante per Roma rispetto a Washington, e funge da elemento stabilizzatore rispetto a spinte bilaterali come quella recente impressa verso la Cina. Se la Brexit dovesse davvero portare ad un’uscita traumatica della Gran Bretagna dall’UE, la NATO sarà ancora più importante per sviluppare il partenariato con Londra e mantenerla coinvolta nella cooperazione europea sulla difesa. In terzo luogo, rispetto alla Russia, la NATO fornisce un ombrello di sicurezza tanto sottovalutato in Italia quanto importante per la sicurezza nazionale. Per una serie di motivi storici, geografici, economici, commerciali, energetici e culturali, una parte significativa dell’Italia non ha considerato Mosca come un nemico durante la Guerra Fredda, e tutti i governi italiani dal 1991 in poi hanno sostenuto una partnership strategica con la Russia. Tuttavia, l’Unione Sovietica ha rappresentato davvero una minaccia per l’Occidente durante la Guerra Fredda, e l’Alleanza Atlantica ha avuto il merito di proteggere dal Patto di Varsavia anche l’Italia nonostante le diverse percezioni di casa nostra al riguardo. Dopo la dissoluzione dell’URSS, con l’Atto fondativo del 1997 e poi l’istituzione nel 2002, non a caso a Pratica di Mare, del Consiglio NATO-Russia, l’Alleanza ha fornito di nuovo quel quadro multilaterale per un dialogo con Mosca che ha garantito fino al 2014 da un lato la sicurezza europea ed italiana, e dall’altro il margine di manovra nazionale per stringere accordi commerciali con la Russia avendo le spalle coperte dalla difesa collettiva NATO. Dopo l’invasione russa della Crimea, nel ritorno delle tensioni tra Occidente e Russia, l’Alleanza rappresenta l’unico framework per assicurare la deterrenza e la difesa dell’Europa, un compito che certo non può svolgere l’UE senza il deterrente convenzionale e nucleare americano – e forse senza neanche quello britannico. Deterrenza e difesa che nell’ottica italiana per quanto necessarie non sono l’obiettivo ultimo, ma un passo intermedio per sedersi di nuovo al tavolo negoziale con Mosca da una posizione di forza, magari proprio attraverso il Consiglio NATO-Russia che ha continuato a riunirsi anche dopo il 2014, per imbastire una nuova architettura di sicurezza pan-europea. Di nuovo, un grand bargain politico strategico che l’UE non ha la forza per ottenere da sola, e che l’Italia potrebbe portare accortamente avanti solo in ambito transatlantico. Infine, a livello operativo la NATO ha rappresentato la stella polare per le Forze Armate italiane in termini di sviluppo dottrinale, di pianificazione capacitiva, di interoperabilità, modernizzazione e avanzamento tecnologico. I grandi passi in avanti compiuti negli ultimi 3 decenni verso uno strumento militare professionale, regional full spectrum, dispiegabile e sostenibile in teatro in operazioni joint e combined, sono avvenuti anche su spinta dell’evoluzione dell’Alleanza Atlantica, nonché dell’esperienza nelle sue missioni, dai Balcani all’Afghanistan. Anche alla luce di tutto ciò, al più alto livello politico-militare, l’ispirazione NATO era evidente, assieme a quella UE, anche nel Libro Bianco sulla sicurezza internazionale e la difesa del 2015. In altre parole l’Alleanza ha rappresentato, ed è stata sfruttata da parte italiana, come un motore per il miglioramento dello strumento militare. Allo stesso tempo, è servita come un freno alla tendenza domestica a ridurre le spese nella difesa e concentrarle sul personale. Infatti, per quanto l’Italia non raggiungerà l’obiettivo di spendere il 2% nella difesa entro il 2024 - impegno sottoscritto da tutti i capi di stato e di governo alleati nel vertice in Galles del 2014 - la spinta NATO e americana verso questa soglia serve perlomeno a bilanciare quella politica interna verso ulteriori tagli, mantenendo così la spesa italiana nella difesa attorno al 1,15% del PIL. All’interno di quest’ultima, l’obiettivo NATO di spendere almeno il 20% in investimenti in equipaggiamenti e ricerca tecnologica – poi ripreso anche dall’UE nella Permanent Structured adeguato – è servito alla parte più lungimirante dei decision-makers italiani per salvaguardare un livello minimo di capacità militare, industriale e tecnologica nazionale, a fronte di una spesa per il personale saldamente attestata intorno al 70% (e pericolosamente in netta crescita nell’ultimo anno e mezzo) e ben lontana dall’optimum del 50% del bilancio della Difesa. In conclusione, il 70° anniversario della fondazione della NATO dovrebbe rappresentare anche l’occasione per l’Italia per riflettere sui benefici che ha tratto dal suo impegno nell’Alleanza, sugli obiettivi raggiunti e gli interessi perseguiti, al fine di continuare a giocare un ruolo attivo a favore della sicurezza euro-atlantica e degli interessi nazionali.


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