RIVISTA ITALIANA DIFESA
Siria: ultimi sviluppi 28/02/2019 | Andrea Mottola

Nonostante il cessate il fuoco stabilito per la zona “demilitarizzata” di Idlib, in base all’accordo sottoscritto lo scorso settembre da Russia e Turchia, che implicherebbe il totale sgombero dei gruppi jihadisti e delle armi pesanti dall’area, nelle ultime 2 settimane la Siria nordoccidentale è stata luogo di scontri su base giornaliera. Tra il 24 ed il 26 febbraio, l’Aeronautica siriana ha effettuato più di 30 raid nelle aree situate tra Idlib ed Hama, in particolare nei villaggi di Khuwayn, Khan Sheikhoun, Zarzour, Al-Tamanah, e Sukeek. In tali centri, infatti, erano situate strutture logistiche e basi operative dei 2 maggiori gruppi ribelli jihadisti presenti nell’area: Hayat Tahrir Al-Sham (HTS, ex Jabhat al-Nusra) e Jaysh Al-Izza. L’importanza degli obiettivi ha giustificato l’utilizzo di velivoli siriani (caccia leggeri L-39 e cacciabombardieri Su-22) che, per la prima volta dallo scorso settembre, hanno condotto operazioni nella zona di Idlib, seguendo una generale intensificazione degli attacchi (sporadici russi, con cacciabombardieri Su-24, caccia Su-30 ed elicotteri e, soprattutto, siriani con bombardamenti d’artiglieria) contro le postazioni ribelli presenti nell’area di Idlib e di Hama, in atto dall’inizio di febbraio. Ondata di attacchi dovuta, non soltanto in risposta alle ripetute violazioni del cessate il fuoco da parte delle formazioni qaediste, responsabili di diversi raid nelle zone di Latakia (Qardaha, città natale di Assad), Afrin ed Hama con decine vittime tra i governativi, ma anche alla recente espansione di HTS nelle citate aree, quanto nella parte orientale e meridionale del Governatorato di Aleppo, dove è attivo anche il gruppo jihadista Tanzim Hurras Al-Deen, autore di recenti attacchi contro postazioni dell’Esercito siriano. Peraltro, le forze governative sono impegnate anche nel contenimento delle milizie ribelli sostenute dalla Turchia, come il Fronte di Liberazione Nazionale, anch’esso attivo a sud di Idlib, la cui base operativa di Khan Sheikhoun sarebbe stata eliminata da un missile balistico OTR-21 TOCHKA. La Turchia, dal canto suo, sta valutando la costruzione di nuove basi nell’area “demilitarizzata” di Idlib, in particolare nelle campagne meridionali tra quest’ultima e Hama, per contrastare l’eventuale avanzata delle forze di Assad. Ciò sarebbe una violazione degli accordi di Astana che consente alla Turchia la sola costruzione di non più di 12 posti d’osservazione nella Siria nordoccidentale.

Per quanto riguarda la situazione sul versante nordorientale del Paese, va registrata la parziale marcia indietro di Washington relativamente alla propria presenza in Siria. La Casa Bianca ha, infatti, comunicato che non ritirerà completamente il proprio contingente di circa 2.200 soldati, ma che continuerà ad essere presente con un dispositivo di almeno 400 uomini (numero non definitivo che potrebbe essere ritoccato verso l’alto e che non tiene conto di contractors privati ed operativi “intel”). Tale dispositivo - mantenuto ufficialmente per tranquillizzare gli alleati europei (Francia e Gran Bretagna, in particolare), preoccupate dal totale disimpegno USA dalla Siria, ma anche a protezione dei curdi dell’YPG dai probabili attacchi di Turchia, Iran e Siria - sarà equamente rischierato tra l’avamposto di al-Tanf, situato nella zona di confine tra Siria, Iraq e Giordania - creato per contrastare l’avanzata del Daesh nell’area ed ora divenuto strategico per il contenimento delle attività iraniane (e dei loro alleati) nella zona - e la Siria nordorientale a maggioranza curda. Nei programmi dell’Amministrazione Trump, quest’ultimo contingente, i cui compiti primari sarebbero quelli di intelligence e logistica, dovrebbe unirsi ad una (molto) teorica forza multinazionale di stabilizzazione ed addestramento/mentoring delle forze locali delle SDF/YPG - composta da 800/1.500 soldati provenienti da Paesi alleati (NATO e mediorientali, ma non dalla Turchia) – posta a salvaguardia della zona cuscinetto ipotizzata per la Siria nordorientale curda in chiave anti turca ed iraniana, nonché di contenimento di possibili recrudescenze del “Califfato”. La Turchia, tuttavia, ha idee abbastanza diverse. Erdogan accetterebbe l’eventuale “buffer zone”, ma tassativamente scevra da qualsiasi presenza delle milizie curde delle SDF/YPG, supportate fortemente dagli americani nel loro fondamentale contributo alla sconfitta del “Califfato”, ma considerate da Ankara un gruppo terroristico a tutti gli effetti. Inoltre, resta da capire l’eventuale risposta iraniana, russa e siriana all’ipotesi della zona cuscinetto presidiata da forze “occidentali”, risposta che difficilmente sarà positiva. Nel frattempo, nella zona desertica (Badiya Al-Sham) tra Homs e Deir Ezzor ed a sud di quest’ultima, le forze di Assad hanno avviato un’operazione di pattugliamento volta al contrasto di cellule dormienti e sacche di resistenza del Daesh ancora attive in zona e responsabili di una serie di attentati ai danni dei governativi.


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