Il terrorismo internazionale ha dimostrato in questi primi anni del terzo millennio di avere la volontà di colpire al cuore i simboli della civiltà occidentale e di essere in grado di sfruttare al meglio gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione, in particolare nel settore dell’informatica e delle telecomunicazioni.
Basta pensare a quanto ha fatto fino ad ora l’autoproclamatosi “Stato Islamico” che ha impiegato lo spazio cibernetico a fini di propaganda, reclutamento, finanziamento e coordinamento; negli ultimi anni il Califfato e la sua rete di affiliati si sono cimentati in operazioni cibernetiche (hacking) nel tentativo di ottenere l’accesso a sistemi informatici appartenenti a individui o istituzioni considerate nemiche.
Questo ha portato ad alzare il livello di attenzione nei confronti di possibili attacchi cibernetici, in particolare per quanto riguarda le grandi infrastrutture e i sistemi di trasporto; rimane però ancora insufficiente la consapevolezza della vulnerabilità del settore marittimo, sia tra gli addetti ai lavori (in particolare le compagnie armatoriali), sia tra le agenzie nazionali e internazionali preposte alla difesa della nostra sicurezza. Negli ultimissimi anni, fortunatamente, considerevoli risorse sono state investite in prevenzione, ma sfortunatamente anche il livello della minaccia è aumentato. Nel 2017, in particolare, una serie di attacchi hanno coinvolto pesantemente gli operatori marittimi, pure quelli più attenti a questi problemi come il porto olandese di Rotterdam e la compagnia armatoriale Maersk.
L'articolo completo è su RID Numero 3 2019