RIVISTA ITALIANA DIFESA
La nuova guerra civile libica 05/08/2014 | Andrea Mottola

Dopo oltre 2 mesi dal suo avvio, prosegue l’offensiva delle forze fedeli al Generale Haftar contro le milizie islamiche della Libia orientale. La larga alleanza di cui è alla guida è costituita da diverse unità del vecchio Esercito regolare e da gruppi anti islamici, unite da un nemico comune: le milizie islamiche e i loro alleati politici. Haftar afferma di essere alla guida di una forza, il cosiddetto Esercito Nazionale Libico, composta da 70.000 uomini provenienti da Aeronautica, Marina, reparti della Difesa Missilistica e, ovviamente, Esercito. Tuttavia, è probabile che il numero esatto sia decisamente inferiore (non più di 40.000 unità compresi 6/7000 miliziani). Tra le forze fedeli al Generale, vanno ricordate le milizie Barca in Cirenaica, le milizie di Zintan, Qaqa (forte di 15.000 uomini, stando alle dichiarazioni dei suoi leader Jamal Habeel e il Colonello Ali Naluti) e Sawaiq e la National Force Alliance, entità politica guidata dall’ex primo ministro del CNT Mahmoud Jibril. Uno dei principali alleati del Generale è Ezzedin Wakwak, influente uomo delle milizie tribali della Cirenaica che, di fatto, ha il controllo dell’aeroporto Benina. Altra figura di fiducia di Haftar è l’ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e attuale Comandante delle forze aeree controllate dal Generale, Saqr Jaroushi. Quest’ultimo ha recentemente dichiarato che le forze anti governative possono contare su 12 velivoli: 4 caccia MIG-21, 4 cacciabombardieri MIG-23 e 4 elicotteri d’attacco MI-24/35, tutti operanti dalle 4 basi aeree controllate da Haftar (Benina/Bengasi, Labraq, Matuba/Derna e Tobruk).

Nella prima fase dell’operazione “Karama” (Dignità), partita il 16 maggio, gli attacchi aereo/terrestri contro le basi delle milizie islamiche a Bengasi hanno causato 70 vittime. Le milizie maggiormente colpite da tali attacchi sono state la Brigata al-Sahati, la Brigata dei Martiri del 17 Febbraio, che costituiva la maggior unità antigovernativa della Libia orientale nella rivoluzione del 2011, ma che oggi ha visto ridurre notevolmente le proprie dimensioni e ha subìto diversi cambi di leadership, e Ansar al-Sharia, gruppo jihadista formatosi in seguito alla rivoluzione e i cui membri sono probabilmente legati all’attacco contro il consolato americano di Bengasi del settembre 2012.

Fino a 3 settimane fa, Haftar affermava di avere il controllo sul 80% di Bengasi, comprese 3 basi situate ad est della seconda città della Libia. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni del Generale, la situazione sul campo è decisamente diversa. Di fatto, i vari gruppi islamici sono riusciti a mantenere il controllo su diverse basi, caserme e checkpoint all’interno di Bengasi. Nelle ultime settimane, nella periferia della città, sono proseguite le schermaglie tra le milizie e unità delle forze speciali al-Saeqa, il cui comandante, Wanis Bukhamada, ha dichiarato fedeltà al Generale Haftar. Dall’inizio dell’offensiva di maggio, gli scontri si sono concentrati nella parte sud-occidentale di Bengasi, nei quartieri di Hawari, Sidi Faraj e, soprattutto, Qwarsha dove Ansar al-Sharia controlla l’ingresso occidentale alla città con diversi uomini e veicoli corazzati di trasporto truppe (APC), oltre ad alcuni pick-up equipaggiati con pezzi di artiglieria anti aerea. Il gruppo jihadista, guidato da Mohammed Zahawi, può contare su un grosso quantitativo di equipaggiamenti ed armi sequestrate dai depositi dell’ex Esercito di Gheddafi. Tra questi ci sono diversi carri armati e obici D-30, lanciarazzi, casse di munizioni, autocarri KAMAZ e i classici pick-up armati con cannoni antiaerei, oltre a centinaia di armi leggere. Inoltre, vanno segnalate alcune foto che ritraggono i suoi militanti accanto a missili 3M9, veicoli di lancio e radar per il sistema mobile antiaereo 2K12 KUB (SA-6 GAINFUL in codice NATO) e MANPADS STRELA-2 (SA-7 GRAIL). In teoria, questi sistemi potrebbero essere usati contro gli aerei e gli elicotteri controllati da Haftar che decollano dalla base di Benina. Tuttavia, le stesse foto in questione evidenziano le pessime condizioni dei KUB e degli stessi missili 3M9, probabilmente inutilizzabili. Ciononostante, Ansar al-Sharia è ancora forte a Bengasi. Lo scorso 21 luglio ha invaso 2 basi controllate da al-Saiqa: Camp 319, sede del suo quartier generale e la base del 36° Battaglione dell’Esercito, entrambe situate nel quartiere di Bu Atni. Gli attacchi sono stati inizialmente respinti grazie all’intervento dell’aviazione. Il bilancio è stato di oltre 30 vittime e un MIG abbattuto. Dopo 2 giorni di intensi scontri (altre 79 vittime, principalmente soldati), AaS si è definitivamente impossessata della base e, nei giorni successivi e con l’aiuto delle milizie salafite del Libyan Shield, guidate da Wissam Bin Hamid e della Brigata al-Battar rientrata dalla Siria, ha obbligato le forze di Haftar a ritirarsi da diverse posizioni, tanto da portare Zahawi, a dichiarare la città di Bengasi “emirato islamico”.

Restando in Cirenaica, anche la città di Merj/Barce, nella quale Haftar ha vissuto per diversi anni, è fondamentale per l’operazione “Karama”. Molti degli uomini che combattono nell’Esercito Nazionale Libico, infatti, provengono da questa città e dai suoi dintorni, così come la maggior parte dei sostenitori politici del Generale. Merj funge, altresì, da centro per le cure dei feriti ed è sede di una delle 3 basi dell’Esercito controllate dalle forze di Haftar.

Il Generale, inoltre, ha più volte affermato che l’offensiva non è diretta unicamente contro le milizie islamiche presenti in Cirenaica. Il 18 giugno Haftar ha confermato l’intenzione di lanciare un’offensiva contro la città di Derna, situata ad est di Bengasi e sede di diversi gruppi jihadisti, e sulla stessa Tripoli, contro i partiti che supportano le milizie islamiche. Il riferimento è alla Fratellanza Musulmana (da qui le voci su un forte sostegno del Generale egiziano Al Sisi alla causa di Haftar) e al partito Giustizia e Costruzione ad essa affiliato che, fino alle ultime elezioni del 25 giugno, rappresentava il secondo partito in termini di seggi in seno al CGN (Congresso Generale Nazionale). Dal 13 luglio si sono verificati i primi scontri a Tripoli, in particolare nella parte meridionale della città e nella zona dell’aeroporto, con fitto lanci di razzi GRAD e pesante fuoco di artiglieria che hanno danneggiato una decina di aerei parcheggiati nell’aerostazione e causato circa 100 vittime in meno di 2 settimane. Uno dei razzi, inoltre, ha colpito 2 grossi depositi di carburante innescando un enorme incendio. Gli scontri di Tripoli, i più duri dalla caduta di Gheddafi, hanno visto fronteggiarsi le già citate milizie di Zintan (Qaqa e Sawaiq), costituite in gran parte da ex membri del vecchio esercito vicini al Generale Haftar e che, di fatto, controllano l’aeroporto dal 2011, e le Brigate Islamiche di Misurata, vicine al partito Giustizia e Costruzione, una delle costole della Fratellanza Musulmana. L’offensiva lanciata dalle milizie islamiche sull’aeroporto di Tripoli, soprannominata operazione “Alba”, potrebbe avere uno scopo tattico ben preciso. Una parte fondamentale della strategia delle forze di Haftar sta nell’interruzione delle linee di rifornimento delle milizie; il 16 giugno, infatti, i caccia del Generale hanno bombardato la pista d’atterraggio di Teeka, situata a sud di Bengasi, utilizzata dalle milizie islamiche come “hub” per le consegne di armi. Ecco, quindi, che l’offensiva sull’aeroporto di Tripoli potrebbe essersi resa necessaria per accogliere possibili spedizioni di materiale sensibile (munizioni, carburante ed equipaggiamenti vari). Esiste, tuttavia, anche una seconda chiave di lettura. L’attacco, infatti,potrebbe essere stato studiato con l’obiettivo di causare la chiusura dell’aeroporto internazionale di Tripoli, in modo da deviare il traffico aereo di tutta la Libia occidentale verso gli aeroporti di Mitiga e Misurata, controllati dalle milizie islamiche. Il grosso degli scontri è avvenuto intorno all’aeroporto e alle sue principali vie d’accesso. Nello specifico, il controllo della strada verso l’aeroporto è fondamentale per le milizie di Zintan, perché consente alle proprie brigate di potersi spostare dalle loro basi, situate sulle montagne, fino al centro di Tripoli senza dover passare attraverso i checkpoint controllati dalle Brigate di Misurata. Per le milizie di Zintan, perdere il controllo di tale strada significherebbe rinunciare ad un accesso senza restrizioni nella capitale e l’obbligo di ritirarsi sui propri avamposti sulle montagne, lasciando Tripoli alle milizie di Misurata. Tuttavia, un tale esito sembra abbastanza improbabile, tenuto conto che nessuna delle due fazioni è sufficientemente forte per segnare il punto decisivo. Nel frattempo, gli scontri nella capitale libica hanno portato all’evacuazione di molte ambasciate (USA, Austria, Olanda, Germania, Spagna, Canada, Turchia, Regno Unito e Giappone tra le altre).

In conclusione, si può dire che, ad oggi, l’offensiva guidata dal Generale è molto lontana dal raggiungimento dei propri obiettivi. Come detto in precedenza, le milizie islamiche, con AaS in testa, hanno guadagnato diverse posizioni nella parte orientale del paese e, di fatto, hanno il controllo su gran parte di Bengasi, eccezion fatta per l’aeroporto. Lo stesso Haftar sembrerebbe essersi rifugiato verso il confine orientale (alcune fonti lo danno in Egitto), in attesa di riorganizzare le sue forze e, magari, di avere un qualche tipo di supporto dal Primo Ministro Al Sisi.

Considerando le attuali capacità delle proprie forze, infatti, Haftar ha parlato (con un certo grado di ottimismo) di circa 6 mesi per la conclusione dell’operazione in corso, periodo che potrebbe ridursi in caso di aiuti militari da paesi alleati, con Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi, che in passato hanno offerto sostegno diplomatico al Generale, quali principali indiziati per un eventuale supporto militare. La posizione statunitense è più sfumata. Per quanto Haftar combatta contro nemici comuni, in particolare Ansar al-Sharia, ciò non implica un appoggio alla sua operazione. Si potrebbe definire un sostegno implicito, confermato dall’operazione condotta dalle Forze Speciali statunitensi lo scorso 15 giugno a Bengasi, che ha portato alla cattura di uno dei principali comandanti di Ansar al-Sharia, Ahmed Abu Khattala, un’operazione che avrebbe visto una qualche forma di coordinamento tra le SOF americane e le forze di Haftar.

Detto ciò, è palese come la disintegrazione della Libia sia di scarso interesse per la Comunità Internazionale, nonostante rappresenti una grave minaccia ai paesi europei, soprattutto a quelli situati sulla sponda opposta del Mediterraneo… La Libia potrebbe presto diventare una “paradiso” per i militanti islamici di tutta la regione: un paese in cui vige una quasi totale anarchia, piena zeppa di armi e con un’ intera regione, la Cirenaica, che continua la sua crescita come fucina di militanti jihadisti/qaedisti. Le elezioni del 25 giugno per la nomina di un nuovo parlamento (il cui insediamento è previsto il 4 agosto a Tobruk) non hanno avuto alcun effetto nel frenare le violenze e stabilizzare il paese. Con un'affluenza estremamente bassa (19% degli aventi diritto), la tornata elettorale ha visto un consolidamento delle fazioni anti islamiche, che hanno ottenuto 100 dei 200 seggi previsti, mentre appena 30 sono andati ai rappresentanti di partiti islamisti. Considerando la complessità della situazione, sarà difficile che un eventuale e, ad oggi, remoto intervento occidentale possa riuscire ad essere percepito come neutrale. D’altro canto, sostenere ciecamente le fazioni anti-islamiche potrebbe essere un grosso errore, come testimoniato da simili esperienze in Egitto o in Iraq. Più opportuno far leva sulla diplomazia, con la convocazione di un vertice internazionale che possa includere la maggior parte dei leader politici e delle principali milizie, affrontando le criticità alla radice del conflitto ed evitando di imporre dall’esterno un nuovo ordine politico.


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