RIVISTA ITALIANA DIFESA
In volo per la NATO Air Policing 26/09/2018 | Marco Giulio Barone

 

Grazie un Media Flight organizzato dalla NATO abbiamo partecipato ad un volo della Luchtcomponent belga che ha sorvolato lo spazio aereo di competenza del CAOC di Torrejon, dimostrando la capacità della NATO di garantire l'attività di Air Policing sull’Europa. Tale missione è assegnata all’Allied Air Command, basato a Ramstein, in Germania, e fa parte del più ampio dispositivo NATO Integrated Air and Missile Defence (NATINAMDS). In pratica, le missioni denominate Air Policing e BMD Defence sono le uniche che la NATO nel suo insieme deve garantire in tempo di pace, 24h su 24, 365 giorni l’anno, in quanto impegni tesi a proteggere l’intero spazio aereo NATO in Europa e di conseguenza la popolazione europea. Bisogna inoltre sviluppare la flessibilità necessaria a rispondere ad eventuali crisi, e dunque una crescita degli impegni. Il dispositivo di Air Policing (AP) è oggi completo e perfettamente funzionante, mentre la difesa antimissile è in fase di sviluppo compatibilmente con i tempi tecnici e le risorse a disposizione della NATO (e dei suoi membri) per mettere in piedi una rete di sorveglianza completa cui asservire poi gli effectors (missili antimissile). Come abbiamo detto, il nostro volo si concentrava sulla NATO Air Policing, condotta con un dispositivo unico al mondo che consente la copertura completa e omogenea del continente europeo attraverso un network di 40 centri radar (Control & Reporting Centre, C&RC) e 34 centri C2 dedicati al controllo aereo. Il network è in grado di monitorare gli oltre 30.000 movimenti civili e militari che giornalmente popolano i cieli europei. A questo dispositivo si aggiungono 38 basi permanenti e 4 basi avanzate di rischieramento (Bulgaria, Estonia, Lituania, Romania) incaricate di garantire i 40-60 caccia in Quick Reaction Alert (QRA) su base giornaliera in Europa – il numero esatto è ovviamente classificato. Geograficamente, la regione settentrionale è sotto la responsabilità del Combat Air Operation Center (CAOC) di Uedem, in Germania, quella meridionale ricade sotto il CAOC di Torrejon, in Spagna. A questi 2 comandi statici si aggiunge il CAOC di Poggio Renatico, Italia, che però è mobile e dedicato esclusivamente ad esigenze di proiezione. I modelli di Air Policing costruiti dalla NATO sono 4: traditional, shared, interim, ed enhanced posture. Il modello tradizionale è quello che vede ciascun stato membro coprire il proprio spazio aereo con i propri caccia, seppur sotto comando unificato NATO. Lo shared model è più avanzato e prevede che uno stato stabilisca un accordo con uno o più membri per condividere i mezzi aerei dedicati alla missione, come nel caso del Benelux, ove Belgio, Olanda e Lussemburgo si alternano nella copertura dell’intero spazio aereo delle 3 nazioni. Le soluzioni ad interim riguardano invece i paesi che non dispongono di caccia propri momentaneamente oppure per via di dimensioni geografiche (ed economiche) ridotte. In questo caso, la copertura di queste nazioni avviene tramite aerei di altri paesi alleati (ad esempio, l’Italia copre l’Albania, in collaborazione con la Grecia, e la Slovenia, in collaborazione con l’Ungheria). Infine, l’enhanced posture riguarda i paesi che necessitano di un rinforzo del dispositivo di AP per motivi contingenti. È il caso, per esempio, della Baltic Air Policy, necessaria in seguito all’incremento delle attività russe nell’area. Le missioni di AP ricadono all’interno della collaborazione tra gli enti e le agenzie per il controllo del traffico aereo, inclusa EUROCONTROL, e la NATO. Quando il sistema di sorveglianza – civile o militare – individua un’anomalia come un aereo che non rispetta o che non possiede un piano di volo, una perdita di comunicazioni tra un aereo e l’ATC, oppure dei voli militari vicini allo spazio aereo europeo, viene ordinato lo scramble. Gli aerei raggiungono lo “zombie” e lo identificano per poi scegliere l’azione tattica da compiere secondo i casi. Secondo le statistiche NATO, nel 2017 sono stati effettuati 430 scramble, di cui 82 a causa di perdita delle comunicazioni (COMMLOSS) e 250 per seguire i movimenti delle forze russe. Nel 2018 i dati disponibili al 31 agosto contano 260 scramble, di cui 180 contro forze russe e 70 per COMMLOSS. Negli anni precedenti, quello più intenso è stato il 2016, con ben 870 voli su allarme, di cui 780 imputabili a voli russi. Per quanto riguarda l’attività russa, ci sono 2 precisazioni da fare. In primo luogo, il numero di scramble per sorvegliare le attività russe non è sempre indicativo del livello di attività di Mosca. Succede spesso che un singolo volo su allarme venga poi incaricato di seguire più formazioni russe. Pertanto, statisticamente si tratta di un volo, ma in pratica le intercettazioni effettuate sono multiple. Un secondo aspetto che la NATO tiene a sottolineare è la natura dei voli russi. In questi anni, nonostante le tensioni ed il rinnovato attivismo di Mosca, nessun aereo russo ha violato lo spazio aereo europeo. Tuttavia, quando i velivoli russi si avvicinano, è chiaro che i paesi NATO reagiscono con attività di shadowing per controllarne il comportamento. Nel caso del Mar Baltico, con l’aumento delle attività militari a Kaliningrad, è considerato normale un maggior traffico aereo. Dal momento che l’area geografica è stretta, è naturale che il traffico russo di routine passi in prossimità dello spazio aereo NATO. Insomma, esiste una specie di “routine dello scramble”, ne avviene uno ogni 3 giorni, in media. Un secondo dato da evidenziare è l’elevato numero di scramble dovuti a problemi di comunicazione. Tali problemi sono molto più comuni di quanto si potrebbe pensare. Non tutti si risolvono con il decollo su allarme. Per esempio, nel 2017 gli incidenti COMMLOSS sono stati 816, ma solo il 10% di essi ha richiesto un decollo su allarme – e dunque il problema è stato risolto dall’ATC civile. Nel 2018, al 31 agosto, sono stati registrati 420 incidenti, di cui ben il 16,5% ha richiesto lo scramble. Com’è possibile un numero così elevato? Secondo le statistiche NATO, il 66% dei casi di COMMLOSS è dovuto ad errore umano, spesso a carico del pilota che non imposta correttamente la frequenza quando cambia paese di sorvolo (magari perché non si comprende bene con i controllori a terra). Per i casi restanti, il 14% riguarda problemi tecnici, mentre per il restante 20% non si comprendono le cause. Considerata l’entità del fenomeno e la necessità di avere un controllo totale del traffico aereo, la collaborazione tra civili e militari in questo campo è sempre più serrata, soprattutto per quanto riguarda le misure operative e strategiche da prendere per ridurre l’impatto del fenomeno sulla AP. Ulteriori approfondimenti su questo argomento saranno disponibili su RID 12/2018.


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