RIVISTA ITALIANA DIFESA
Attacco alla Siria: prime valutazioni 17/04/2018 | A. Mottola e P. Batacchi

A 72 ore dall’attacco missilistico congiunto, effettuato da USA, Regno Unito e Francia ai danni delle strutture per la produzione e lo stoccaggio di armi chimiche presenti in Siria, emergono diversi dettagli, riguardanti numeri ed assetti impiegati. Secondo i dati ufficiali forniti dal Pentagono, tutti i 105 missili lanciati hanno colpito i 3 obiettivi previsti, senza alcun tipo di interferenza da parte dei sistemi di difesa aerea siriana. Nello specifico, 76 missili – 57 BGM-109 TOMAHAWK e 19 AGM- 158B JASSM-ER - avrebbero colpito il Centro di Ricerca Barzeh, situato nella periferia nordorientale di Damasco (numero che appare enorme, considerando l’analisi delle immagini successive all’attacco dei 3 edifici del Centro e che si potrebbe spiegare solo con la scelta di concentrare i meno moderni TOMAHAWK su un obiettivo sprovvisto di ogni difesa/fortificazione); 22 missili – 9 TOMAHAWK lanciati da navi americane, 8 STORM SHADOW sganciati dai TORNADO GR4 e dai TYPHHOON della RAF, 3 MdCN/SCALP NAVAL provenienti dalla FREMM francese LANGUEDOC e 2 SCALP-EG lanciati dai RAFALE francesi – hanno colpito una struttura di stoccaggio situata ad Him Shinshar, 24 km ad ovest di Homs; infine, 7 SCALP-EG francesi hanno colpito una rete di bunker appartenente al sito di Him Shinshar, situato tra quest’ultimo e la città di Homs. All’operazione hanno partecipato 5 unità navali appartenenti alla US Navy (4) ed alla Marina francese (1), posizionati in distinte aree geografiche. Nello specifico, 37 missili TOMAHAWK sono giunti dal Mar Rosso, dove incrociavano un cacciatorpediniere classe BURKE (il LABOON) ed un incrociatore classe TICONDEROGA (il MONTEREY), che hanno lanciato rispettivamente 7 missili il primo e 30 il secondo, un altro cacciatorpediniere classe BURKE (HIGGINS) ha ingaggiato i propri bersagli dal Golfo Arabico, lanciando 23 missili, mentre dal Mediterraneo Orientale sono partiti i 6 TOMAHAWK del sommergibile classe VIRGINIA, JOHN WARNER e i 3 MdCN della FREMM francese classe ACQUITAINE, LANGUEDOC. Il cacciatorpediniere DONALD COOK, pur presente nell’area, non ha preso parte all’operazione, così come altre 2 FREMM francesi, ACQUITAINE e AUVERGNE, la fregata antiaerea JEAN BART classe CASSARD ed una fregata antisom classe GEORGES LEYGUES. Oltre ai citati mezzi navali, l’operazione ha visto la partecipazione di una cospicua componente aerea, formata da velivoli provenienti dall’area mediorientale, ma anche dall’Europa. Gli Stati Uniti hanno impiegato ben 36 aerei. L’attacco ha richiesto più di 72 ore di voli effettuati da 3 velivoli da ricognizione - un velivolo RC-135U/V del 45° Reconnaissance Squadron/55° Operations Group e una coppia di RQ-4B Block 40 del 12° Reconnaissance Squadron di stanza a Sigonella – ed impegnati per la raccolta di dati e informazioni (ubicazione, struttura, eventuali fortificazioni) sui siti colpiti. I 19 missili stand-off di ultimissima generazione JASSM-ER, dotati di una gittata superiore alle 500, miglia sono stati sganciati da 2 bombardieri strategici B-1B appartenenti al 37° Bomb Squadron/28° Bomb Wing dell’USAF, rischierati sulla base qatarina di al-Udeid, utilizzando lo spazio aereo saudita e giordano che hanno garantito il diritto di sorvolo dei suddetti aerei e missili, come nel caso dei lanci effettuati dalle navi dislocate nel Mar Rosso. Durante la loro sortita, i B-1 sono stati supportati da una scorta mista di F-15C ed F-16C e da un EA-6B PROWLER con compiti di jamming, appartenenti al VMAQ-2 inserito nella Special Purpose Marine Air Ground Task Force dei Marines di stanza, dal 2015, sulla base kuwaitiana di Ahmed al-Jaber. Proprio ad inizio aprile, gli EA-6B erano stati rischhierati ad al-Udeid, il che ne spiegherebbe l’utilizzo al posto dei più moderni EA-18G GROWLER durante la missione dei B-1. Come supporto alle operazioni, l’USAF nelle ore precedenti l’attacco ha rischierato ad Aviano 8 F-15C of the 493° Fighter Squadron/48° Fighter Wing dalla base inglese di Lakenheath, successivamente impiegati, insieme a 8 F-16C Block 40 del 555° Fighter Squadron/31° Operations Group di stanza ad Aviano, con compiti di pattugliamento aereo e scorta per le 11 aerocisterne KC-135R/T (10 del 351° Air Refueling Squadron/100° Air Refueling Wing (ARW) di stanza a Mildenhall, e una appartenente al 92° ARW) e 3 aerocisterne KC-10A (del 60° e 305° Air Mobility Wing, rischierati a Souda Bay e utilizzati per il rifornimento dei B-1) che li hanno accompagnati in zona operazioni, nonché, come detto, per i bombardieri B-1B, per i PROWLER e per le navi della US Navy. La Gran Bretagna ha impiegato 8 aerei (4 bombardieri tattici TORNADO GR4 del 31° Squadrone che hanno lanciato 8 missili STORM SHADOW su Him Shinshar e 4 EF-2000 FGR4 TYPHOON del 6° Squadrone, con compiti di scorta), decollati dalla base cipriota di Akrotiri, col supporto di un’aerorifornitore KC2 VOYAGER, proveniente dal Regno Unito, per i TYPHOON impegnati nella scorta/pattugliamento dello spazio aereo. Ad essi, va aggiunto un velivolo SENTINEL R1 presente ad Akrotiri che, nelle ore precedenti all’attacco, è stato utilizzato per la raccolta di dati e informazioni sulle 2 strutture del complesso di Him Shinshar e, in seguito all’operazione, impiegato in un’operazione BDA, riguardante la valutazione dei danni dopo l’attacco. La Francia, infine, ha utilizzato 9 caccia (5 RAFALE che hanno lanciato i 9 SCALP-EG e 4 MIRAGE 2000-5F di scorta), 2 velivoli AWACS E-3F, che hanno svolto il ruolo di sistema C2 unificato per l’intera operazione, e 6 aerocisterne C-135FR. Nessuno dei velivoli citati è entrato nello spazio aereo siriano, tenuto conto che gli obiettivi sono stati colpiti con missili stand-off che garantiscono ampio margine di sicurezza agli aerei attaccanti rispetto al tracciamento da parte dei radar d’acquisizione dei sistemi missilistici siriani. Secondo i dati del Pentagono, le difese aeree siriane avrebbero lanciato tra i 40 e i 45 missili terra-aria, tra S-125 PECHORA, S-200, KUB, BUK ed OSA, utilizzando “traiettorie balistiche e senza alcun tipo di guida”, non riuscendo ad abbattere nemmeno un missile. Secondo il Ministero della Difesa russo, invece, le difese aeree siriane avrebbero abbattuto ben 71 missili e, inoltre, la lista dei bersagli sarebbe più lunga e comprenderebbe, tra l'altro, anche le basi aeree di Dumayr e Shayrat. Nel complesso si è trattato di un’operazione molto complessa - da sottolineare anche l'aspetto commerciale tenuto conto dei primi impieghi operativi di armi quali lo SCALP/MdCN ed il JASSM-ER - che ha visto l’utilizzo simultaneo di assetti aeronavali appartenenti a 3 diverse nazioni e dislocati in 3 differenti aree geografiche (Mediterraneo Orientale, ma anche Mar Rosso e Golfo Persico) e, in tal senso, di grande rilevanza addestrativa ai fini della valutazione di procedure, interoperabilità, ecc. (mentre i Russi hanno potuto valutare la “firma” delle nuove armi, le portate e, forse, pure interferire con l’azione). A ciò bisogna aggiungere la dimostrazione della capacità di poter colpire in breve tempo, in maniera significativa, senza attendere un build up vero e proprio, ma contando su assetti anche "di opportunità", e da distanze oltretutto abbondantemente out-of-theater. Già quest'ultimo elemento – a prescindere dall'efficacia dell'attacco che potrà essere valutata solo più avanti – è di per sé potenzialmente in grado di costituire un certo livello di deterrenza rispetto al futuro eventuale riverificarsi di condotte ritenute “pregiudizievoli”. E qui entriamo nel terreno minato del presunto impiego di armi non convenzionali da parte delle forze governative. La storia del conflitto siriano ha mostrato – dati empirici alla mano – che sostanze non convenzionali – soprattutto i famosi barili di cloro – sono stati sistematicamente impiegati dalle forze fedeli ad Assad, ed in parte anche dai ribelli, ed è possibile che un episodio del genere si sia ripetuto anche a Douma il 7 aprile. Del resto Assad utilizza armi non convenzionali per una ragione molto semplice: la scarsità di manpower, dovuta alla ridotta base di reclutamento, che lo rende dipendente per la "fanteria" dalle milizie sciite/tribali. Questo, nei fatti, costituisce un incentivo all’uso di armi come i barili al cloro (ammoniaca, scarti industriali, ecc.) per accorciare i tempi di alcune battaglie o stanare i nemici arroccati in postazioni urbane, cunicoli o bunker che sarebbe estremamente più costose ri/conquistare. I ribelli, a loro volta, usano le medesime sostanze ai fini di rappresaglia e deterrenza o per provocare gli stessi effetti di shock ricercati dal regime contro gli “irriducibili” (non a caso a Douma, dopo il presunto uso del cloro, gli ultimi irriducibili di Jaish Al Islam si sono immediatamente arresi). Infine, un'ultima considerazione. Per l'Occidente il contrasto all'impiego di armi non convenzionali non risponde solo ad una questione morale, ma anche ad una, ancora una volta, questione militare. Il fatto compiuto dell’impiego tattico di armi chimiche non è accettabile, poiché ciò finisce con l’erodere la superiorità convenzionale che tuttora l'Occidente conserva rispetto agli avversari attuali e futuri. E che questi stessi avversari temono.


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