RIVISTA ITALIANA DIFESA
Presente e futuro degli UUV 26/03/2018 | Marco Giulio Barone

La diffusione dei mezzi unmanned è ormai un trend consolidato in tutti gli ambienti operativi. Il settore subacqueo non fa eccezione, ed è infatti caratterizzato da un fiorire di nuovi progetti che rispondono a requisiti operativi sempre più ambiziosi. I ruoli degli UUV variano secondo la dimensione e la suite di missione. In generale, i ruoli assegnati comprendono missioni ISR, idrografiche/oceanografiche, comunicazioni, contromisure mine (MCM), ASW ed altre missioni di supporto. Essendo generalmente multiruolo, gli UUV svolgono più mansioni. Gli UUV si dividono in 2 grandi famiglie: ROV e AUV. Tuttavia, è bene specificare che questa definizione è funzionale alla comprensione del mercato dei veicoli unmanned subacquei, ma che di fatto l’iperonimo UUV è spesso utilizzato invariabilmente per ambedue le categorie. Peraltro, alcuni sistemi possono operare in entrambe le modalità. I Remotely Operated Vehicles (ROV) sono veicoli subacquei solitamente filoguidati e gestiti da un operatore a bordo di una nave-madre. L’operatore si occupa sia della guida che dell’utilizzo dei sensori e dei sistemi a bordo del ROV. I ROV, sviluppati negli anni ’60, furono impiegati per la prima volta nell’operazione di recupero dei resti del B-52G caduto in mare con una bomba B-28RI rimasta a bordo, nei pressi della cittadina spagnola di Palomares, il 17 gennaio 1966. Da allora, la missione dei ROV a bordo di unità di ricerca, salvataggio e cacciamine è rimasta pressoché invariata, anche se l’evoluzione tecnologica ha permesso di immettere in servizio modelli sempre più capaci e sofisticati. Gli Autonomous Underwater Vehicles (AUV) sono invece mezzi subacquei che svolgono in autonomia una parte (o la totalità) della missione assegnata. Gli AUV sono disponibili sin dagli anni ’90, soprattutto nel settore dei rilievi oceanografici e della ricerca per le attività offshore. Il potenziale espresso dagli AUV li ha resi di interesse crescente per le FA di diversi Paesi, che hanno cominciato a sfruttarli come complemento della strumentazione di unità come cacciamine, navi da soccorso e da ricerca, per poi allargare il campo anche alle missioni ISR e in favore di forze speciali. In generale, gli AUV sono delle ottime piattaforme per sensori e strumenti subacquei, in quanto stabili e poco rumorose. Come tutti i teleguidati, gli AUV consentono inoltre di effettuare missioni DDD (Dull, Dirty, and Dangerous) al posto degli operatori umani, specialmente quando si tratta di mine e ordigni esplosivi, oppure di ricognizioni rischiose sui fondali o a ridosso della spiaggia nemica. Per molte di queste missioni, gli AUV operano a distanza (stand-off) rispetto alla nave-madre, allontanando così dal pericolo anche i vettori delle operazioni. Peraltro, per le operazioni, ogni nave-madre può portare numerosi sistemi AUV e servire da integratore di informazioni. Così facendo, il numero di unità necessarie per ciascuna missione tende a ridursi, con evidenti benefici sia dal punto di vista del rischio di perdite umane, sia sui costi di gestione di capacità pregiate come, ad esempio, quella di contrasto alle mine. Infatti, gli AUV di ultima generazione permettono una permanenza in area di operazioni non conseguibile altrimenti con operatori umani, o comunque molto dispendiosa sotto tutti gli aspetti (economico, fisico, militare, ecc.). Per esempio, se la posa di mine o ordigni esplosivi è relativamente semplice e molto economica, lo stesso non si può dire per quanto riguarda la loro neutralizzazione – soprattutto in spazi stretti o punti strategici. Pertanto, gli sviluppi nel settore dei teleguidati si concentrano sia sull’attività di sminamento che su quella di prevenzione, ovvero di pattugliamento costante delle aree a rischio. A ciò biosgna aggiungere che il concetto di “system of systems” applicato al settore UUV è in pieno sviluppo, e in futuro consentirà di passare dal singolo teleguidato – estensione degli strumenti di una nave – a veri e propri sistemi autonomi di monitoraggio, in grado di gestire missioni complesse con costi inferiori a quelli di intere squadriglie navali, ma con permanenza “sine die” nell’area delle operazioni. Tutto l'articolo è disponibile su RID 4/18.


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