Nel sesto giorno dell’Operazione “RAMOSCELLO DI ULIVO”, mentre continuano la pressione delle FA turche e delle milizie filo-turche dell’FSA contro le posizioni curde nel distretto di Afrin, ed il presidente Erdogan torna a minacciare un’offensiva contro la città di Manbij (città ad ovest dell’Eufrate nel cantone curdo di Hasakah/Kobane, dove sono schierate anche forze americane), le forze dell’YPG (Unità di Protezione Popolare, derivazione siriana del PKK) sembrano resistere all’assalto del Free Syrian Army, nella contestata zona attorno al monte Birsaya. Invariato l’obiettivo finale dell’offensiva: consolidare una zona cuscinetto di almeno 30 km all’interno del cantone di Afrin, per dare continuità territoriale con il confinante cantone di Azaz, sotto il controllo di Ankara sin dai tempi dell’Operazione “SCUDO DELL’EUFRATE” dell’agosto 2016. La recente dichiarazione del Pentagono, rilasciata il 13 gennaio, secondo la quale gli Stati Uniti vorrebbero creare una forza di sicurezza di frontiera siriana (Border Security Force, BSF) composta da 30.000 membri a maggioranza curdi, sarebbe il motivo che ha spinto la Turchia a intraprendere definitivamente l’operazione. L’insuccesso di Ankara nel tentare di convincere Washington a tornare sui propri passi, così come il rifiuto da parte del Cremlino di estromettere i curdi dai colloqui di pace di Sochi (previsti i prossimi 29 e 30 gennaio), avrebbero in questo modo dato al Governo turco il casus belli definitivo per lanciare l’attacco contro i suoi acerrimi nemici. Tuttavia, il fatto che la Russia abbia dato tacito assenso all’offensiva, ritirando preventivamente le sue forze di terra per evitare un coinvolgimento diretto (pur mantenendo il controllo totale dello spazio aereo su Afrin), potrebbe far pensare ad un accordo non ufficiale siglato tra Ankara e Mosca di cui parleremo dopo. Nel frattempo, lo scontro si fa acceso anche sul piano politico e diplomatico, dacché la mossa del Presidente turco non ha trovato sostegno nella comunità internazionale (a eccezione del Qatar). La riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, convocato lunedì scorso su iniziativa francese, si è risolta con un nulla di fatto. La mossa di Erdogan rischierebbe, insomma, di compromettere i piani post-bellici orchestrati da Iran, Russia e Siria nella cornice degli “Astana Talks”. Tornando alla Russia, un’altra ipotesi è quella che il Cremlino abbia deciso di “scaricare” definitivamente i curdi, lasciando così mano libera alla Turchia nella sua lotta contro l’YPG nel cantone di Afrin. L’offensiva turca, infatti, può essere letta anche tenendo in considerazione la parallela operazione del regime siriano a Idlib, volta a eliminare la presenza dei jihadisti di Tahrir al-Sham (ex al-Nusra). Nelle ultime ore, i governativi del Syrian Arab Army (SAA) e delle National Defence Forces (NDF), hanno consolidato la loro posizione presso la base aerea di Abu Al-Duhur, conquistando l’omonima città e i villaggi di Al-Khifa e Jafr. Così facendo, le forze del regime sarebbero riuscite a mettere al riparo l’importante base da qualsiasi contrattacco dei ribelli. L’Operazione “RAMOSCELLO DI ULIVO” potrebbe beneficiare del riposizionamento delle milizie ribelli filo-turche operanti ora su Idlib verso Afrin, sotto la tutela diretta di Ankara, mentre Tahrir al-Sham rimarrebbe isolata (e intrappolata) a Idlib. Un film già visto ai tempi della battaglia di Aleppo...