RIVISTA ITALIANA DIFESA
Il Bilancio della Difesa 2018 26/01/2018 | Pietro Batacchi

Dopo un biennio di sostanziale assestamento e di arresto della tendenza alla diminuzione, finalmente quest'anno il Bilancio della Difesa fa registrare un sensibile incremento. Nulla di eccezionale, certamente, ma quanto meno il segno di un'inversione di tendenza che, speriamo, possa essere consolidata nei prossimi anni. Del resto, le ragioni per aumentare le spese della Difesa ci sono e sono sotto gli occhi di tutti: il precario scenario di sicurezza (con le minacce e i rischi a tutti ben noti e mai come oggi così vicini ai nostri confini), alla Brexit e alla repentina accelerazione del processo di integrazione europea in ambito Difesa, senza dimenticare la road map della NATO per il famoso 2% del PIL da destinare alla Difesa. Soprattutto gli ultimi 2 fattori sono oggi quelli a nostro avviso determinanti. L'Europa ha compiuto negli ultimi 2 anni dei progressi mai visti in tema d'integrazione della difesa con l’avvio ufficiale alla PESCO (Permanent Structured Cooperation) e l’assegnazione dei primi fondi per la ricerca militare. Fondi che cresceranno nei prossimi anni e che, oltre alla ricerca, andranno a finanziare pure le capacità. Un progresso enorme – appunto, mai visto in precedenza – che se da un lato offrirà al nostro sistema delle notevoli opportunità dall'altro richiederà che a livello nazionale vi siano delle basi di partenza solide e sviluppate – e non deboli perchè sotto-finanziate o mal finanziate – anche perchè la cooperazione internazionale richiede il massimo rispetto degli impegni, soprattutto in termini finanziari. E poi la NATO. Ovviamente sappiamo tutti, NATO compresa, che l'Italia non spenderà mai il 2% del PIL per la Difesa, ma nell'ambito della road map ci sono comunque vincoli precisi su capacità e impegni che non possono essere ignorati. Vero, l'Italia può sempre dire, a ragione, di fare sul piano della sicurezza internazionale molto più della grossa e ricca Germania, di essere il meglio per ciò che concerne le operazioni di stabilizzazione, di essere affidabile molto più di diversi altri Paesi NATO (ebbene sì, signori, l'Italia negli ultimi 30 anni lo è stata), ma la road map di Mattis è lì e non si può far finta che non ci sia. Per cui anche se non sarà il 2% bisogna mostrare, fatti alla mano, che l'Italia incrementa le spese militari e che lo fa tenendo conto delle indicazioni NATO ed allocando in maniera strategica e razionale le risorse. Dunque, oggi non siamo più al dogma "fare di più con meno", bensì al "fare meglio con (un po') di più". 

Tutto l'articolo è disponibile su RID 2/18.


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