È di oltre 230 morti il bilancio dell'attacco terroristico avvenuto stamattina contro una moschea di Bir al-Abed, a ovest della città di El Arish, nel Nord Sinai, in Egitto. Il bilancio potrebbe crescere ancora, mentre sulla dinamica sembra chiaro che i terroristi abbiano fatto esplodere degli ordigni sul luogo di culto per poi sparare sui fedeli in fuga e sulle prime ambulanze che stavano accorrendo. L’azione non è ancora stata rivendicata, ma gli occhi sono tutti puntati sul Wilayat Sinai, la Provincia del Sinai, ovvero la diramazione locale dello Stato Islamico (in precedenza nota come Ansar Beit Al Maqdis). La Moschea pare infatti fosse frequentata da sufi (eretici per i jihadisti) e da beduini della tribù Sawarka, una delle più importanti del nord del Sinai che dallo scorso maggio, assieme ai potenti Tarabin, si era rivoltata contro la presenza di ISIS nella zona iniziando a collaborare con le forze di sicurezza egiziane. Fino ad allora tra tribù beduini e ISIS c’era stata una sorta di non belligeranza, se non una vera e propria commistione in alcuni casi. Un patto che alla fine si è rotto perché l’ISI aveva avuto l’ardire di interferire con i contrabbandi in cui da sempre sono coinvolte le tribù della zona, a cominciare dal traffico di sigarette. I beduini del Sinai sono organizzati in tribù, le maggiori delle quali sono la Sawarka e la Tarabin nel nord e la Muszeina a sud, che tradizionalmente sono state tenute ai margini della società egiziana non potendo accedere alle cariche pubbliche e restando fuori dallo sviluppo economico dell'area. Una situazione situazione che ha causato la crescita esponenziale del malcontento e la creazione di un’unità d’intenti tra tribù beduine e quei gruppi salafiti che, storicamente, hanno in Egitto la propria culla ideologica e che nella regione del Sinai hanno trovato rifugio. Solo negli ultimi anni del “regno” di Mubarak, e dopo la stagione degli attentati ai resort turistici di Sharm, si era riusciti a trovare un equilibrio, grazie al sostegno dato dal Governo ad importanti leader tribali che aveva calmierato le rivendicazioni beduine, e l’intesa tra beduini e gruppi salafiti era venuta meno, comportando una sostanziale stabilizzazione della situazione nella Penisola. Con lo scoppio della cosiddetta Primavera Araba, la caduta di Mubarak e la successione di Morsi e Al Sissi, gli accordi di cui sopra sono venuti meno e la situazione è di nuovo precipitata, aggravata per di più dall'affermazione di ISIS che ha potuto reclutare nuovi adepti tra le centinaia di persone (tra questi anche adepti della Fratellanza Musulmana riciclatisi nei movimenti jihadisti) liberate dalle carceri egiziane nei giorni della fine del regime di Mubarak. In pochi anni, pertanto, il Sinai si è trasformato di nuovo in un crocevia di attività illegali e terroristiche, cosa che ha costretto l'Egitto a schierare nella Penisola un contingente dell'Esercito, in deroga agli accordi di Camp David, grazie al consenso di Israele, presso El Arish, a 50 km dalla Striscia di Gaza, dove è stato spostato anche il comando operativo del Second Field Army, la componente dell’Esercito che insieme al Third Field Army (il cui comando operativo è ora stato spostato nel villaggio di Nekhel, nella regione centrale del Sinai), è responsabile per la sicurezza della Penisola. Negli ultimi mesi, grazie anche al supporto delle tribù beduine, le forze di sicurezza egiziane sembravano però aver inferto duri colpi al Wilayat ottenendo anche importanti risultati sul campo come l’uccisione di diversi leader e quadri del movimento. Fino all’attacco di oggi, che ha tutta l’aria di essere un avvertimento firmato col sangue per chi collabora con il Generale Al Sissi.