RIVISTA ITALIANA DIFESA
Le basi cinesi all'estero 30/10/2017 | Michele Taufer

Lo scorso 18 ottobre, durante il discorso di apertura del 19° Congresso del Partito Comunista Cinese, il Presidente Xi Jinping ha ribadito la strategia del proprio Paese in campo internazionale confermando un trend già in corso da alcuni anni: la Cina è ormai diventata una potenza di primo piano sempre più in grado di agire su scala planetaria. Il Paese ha, infatti, la necessità di trovare una “valvola di sfogo” all’estero per la propria forza lavoro interna, data la sovra-capacità produttiva raggiunta da Pechino, a cui si aggiungono le sempre più imperanti necessità di tipo energetico. La Cina è diventata oggigiorno il più grande importatore di petrolio al mondo. Il 52% del greggio necessario al sostentamento della sempre più tecnologica “fabbrica” cinese viene importato dal Medio Oriente, mentre il 22% di esso arriva dall'Africa. Quasi il 40% per cento del commercio estero della Cina, poi, passa per l'Oceano Indiano: un dato destinato a crescere nei prossimi anni grazie al progetto della “Nuova Via della Seta”. Iniziativa, promossa e voluta da Xi Jinping, che ha lo scopo di connettere commercialmente per via terrestre e marittima Cina e Paesi dell’Eurasia. E’ quindi lapalissiano come, per Pechino, lo spazio marittimo dell’Oceano Indiano avrà sempre maggiore importanza, con in prospettiva anche la stabilità dei bacini ad esso adiacenti: Mar Rosso, Golfo Persico e Mar Mediterraneo. La protezione delle SLOC non può però essere effettuata dalla Marina (People's Liberation Army Navy - PLAN) partendo da basi stanziali nella Cina continentale vista l’enorme distanza in gioco. Era quindi inevitabile che anche la Cina, in linea con la propria strategia militare, cercasse di garantirsi degli approdi logistici in grado di fornire un adeguato supporto alle proprie unità navali impegnate nei vitali pattugliamenti marittimi, specie nell’Oceano Indiano Occidentale. Il 1° agosto è stata pertanto inaugurata, a Gibuti, la prima base militare permanente all’estero di Pechino, mentre, nel prossimo futuro, se ne prevede una seconda a Gwadar, in Pakistan, sito attualmente utilizzato dalla Marina per limitate visite occasionali. La base gibutina ha una superficie di circa 200 ettari, è dotata di eliporto, bunker rinforzati, aree logistiche e di stoccaggio/pre-posizionamento, mentre in futuro potrebbe anche contare su di un approdo a mare entro l’attuale perimetro. Della guarnigione cinese in terra africana, che dovrebbe essere composta da non meno di 1.000 uomini e di cui non vi è però ancora chiarezza sul numero effettivo di soldati, fanno parte attualmente 2 unità navali: la nave d’assalto anfibio TYPE 071 JINGGANGSHAN, con capacità di trasporto truppe pari a 500-800 uomini, e la DONGHAIDAO, unità logistica. Per quanto riguarda invece i mezzi terrestri a disposizione del contingente, dovrebbero essere presenti nella base almeno 6 veicoli da combattimento per la fanteria (IFV) tipo ZBL-08 con mitragliera da 30 mm e non meno di 4 veicoli tipo DONGFENG WARRIOR, rivisitazione cinese dell’HUMMER americano, dotati di mitragliatrice da 12,7mm. Un contingente anfibio al momento limitato ma destinato ad aumentare man mano che la base entrerà a pieno regime, permettendo così a Pechino di potere esercitare un’effettiva azione di deterrenza nell’area a sostegno dei propri interessi.


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