RIVISTA ITALIANA DIFESA
La minaccia delle mine navali e l'Italia 28/04/2017 | Marco Lupi

Nel suo rapporto del mese di marzo, il Worldwide Threat of Shipping (WTS) dell’Office of Naval Intelligence Americano ha riportato come causa dell’affondamento di una motovedetta yemenita che pattugliava le acque territoriali del Mar Rosso meridionale in vicinanza del porto di Al Mukha l'11 marzo scorso (affondamento costato 8 vite umane ed il ferimento di altri 8 membri dell’equipaggio), l’esplosione di una mina navale. Una tale evenienza, probabilmente innescata dalla disponibilità sul mercato nero internazionale delle armi di un'ingente quantità di ordigni subacquei di origine, probabilmente, ex-sovietica, dovrebbe far suonare numerosi campanelli d’allarme. In particolare per l'Italia. L'economia italiana si basa per larga parte sul commercio via mare. L’import di materie prime e fonti energetiche, il nostro export di manufatti nel mercato mondiale, usano le "autostrade del mare" per raggiungerci e raggiungere i nostri clienti in tutto il mondo. Appare sicuramente non secondario l’effetto che anche solo la minaccia remota di un affondamento di una nave mercantile, o peggio ancora di uno di quei tanti resort galleggianti, le navi da crociera, veri e propri grattacieli del mare che solcano i nostri mari zeppi di turisti e che entrano ed escono dai nostri porti portandoci ricchezza, potrebbe provocare su un'economia ancora debole e che stenta a riprendersi come quella italiana. L’allarme in proposito appare vieppiù da tutti i nostri politici sicuramente e incoscientemente  trascurato. Basterebbe leggere cosa cita il United Kingdom Marine Trade Operations (UKMTO) a proposito del triste evento yemenita per rendersene conto. “I comandanti delle navi dovrebbero tener conto di incrementare la vigilanza, mantenere la maggiore distanza dalle coste dello Yemen, transitare lo stretto di Bab el Mandeb durante il giorno (per avere maggiori possibilità di vedere eventuali mine alla deriva) e tenersi il più possibile ad ovest delle acque potenzialmente minate”. Accadesse da noi una cosa del genere chi si imbarcherebbe più su una nave da crociera?  Quanto aumenterebbero i costi e le assicurazioni per le navi mercantili in ingresso ed uscita dai nostri porti? Quanto sarebbe il ricarico sul cittadino? Quanto ci costerebbe in più un pieno di benzina, ma soprattutto, quanto meno competitivi sarebbero i prezzi dei nostri prodotti da esportazione? Sarebbe un danno economico incalcolabile e soprattutto una limitazione fortissima della nostra libertà. Non bisogna essere degli illuminati o degli specialisti del settore per comprenderlo. Come è facile del resto anche comprendere che basterebbe dichiarare di aver posato delle mine rudimentali (come quelle viste in Yemen) davanti al porto di Trieste o Genova per creare panico e l'inevitabile chiusura del porto anche solo per poche ore. La stessa Marina degli Stati Uniti ha dichiarato che la mina navale è stata sempre nella storia quell’arma silenziosa, subdola e tipicamente “asimmetrica” che ha procurato i maggiori danni alla sua flotta. Ben più di missili, siluri e cannonate.. in tutti conflitti! La stessa cavalcata nel deserto del Generale Schwarzkopf, durante la Guerra del Golfo, fu decisa perché la “porta del mare” era chiusa. Prima dell’attacco decisivo alle forze di Saddam Hussein ben 2 navi da guerra americane rischiarono di affondare per colpa di mine posate nelle acque del Kuwait. Il famoso Generale pensò bene allora di affrontare una campagna più lunga e dispendiosa che però lo avrebbe messo al sicuro dagli spettri di una figuraccia globale. Bene, in questo quadro non sicuramente immaginato a tinte fosche, ma reale, presente, attuabilissimo...cosa ci difende da questa sicuramente non spettacolare, ma efficacissima, minaccia? Ben poco. Dopo anni in cui le navi della Marina Militare idonee per pulire il mare dagli ordigni bellici si contavano a decine (anche a centinaia dopo il secondo conflitto mondiale), oggi, per tenere puliti i nostri mari, i nostri 8.000 chilometri di coste abbiamo… una decina di cacciamine. E pensare che la nostra Marina dette il là negli anni 80 ad un programma di costruzione di navi dedicate a questo scopo, che portano ancora oggi, ormai invecchiate e apparentemente non più così efficaci, i nomi di idilliaci borghi marinari (Lerici, Viareggio, Chioggia, Rimini). E il bello è che queste navi rappresentavano e rappresentano tuttora un vanto della cantieristica nazionale nel mondo. Basti pensare che anche la US Navy ne acquistò il progetto, costruendone 12 esemplari su licenza. Sembra incredibile, ma la Marina Americana ha comprato navi dall’Italia. Gli stessi cantieri nazionali hanno venduto navi del genere in tutto il mondo - navi che prendono riferimento ancora da quel fortunatissimo ed efficace progetto – non ultima all'Algeria. Anche se può essere impopolare parlare di costruzioni di navi militari, penso che tutti noi si  possa essere d’accordo che lo strumento di cui l'Italia si dovrebbe dotare per una difesa credibile, bilanciata ed efficace sia da inquadrare in un mix di capacità sostenibili che prima di tutto difenda veramente gli interessi della Nazione. Una sapiente miscela di tecnologia, conoscenza ed esperienza che, promuovendo nuovamente l’industria nazionale anche all’estero, dia lavoro stabile e solidità al comparto e  che soprattutto non lasci dietro di sé delle lacune rischiose come quella che si sta generando nel settore della difesa dalle mine navali con l’invecchiamento ormai conclamato della linea operativa specialistica della Marina Militare. Purtroppo lo stesso progetto del nuovo COV (Cacciamine Oceanico Veloce, di cui RID vi ha parlato in anteprima) si sta arenando per mancanza di fondi, ma almeno si dovrebbe portare avanti la fase progettuale.


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