L’Esercito Nordcoreano, con le sue decine di migliaia di pezzi d’artiglieria dispiegati a portata di tiro di Seul e di altre importanti città sudcoreane, e i suoi 200.000 effettivi delle forze leggere d’assalto e delle forze speciali, rappresenta un incubo per i pianificatori di Seul e di Washington, in caso di guerra. Al contrario, l’Aeronautica di Pyongyang, che durante la Guerra del 1950-1953 con il supporto sovietico e cinese aveva reso dura la vita alle forze aeree alleate, soprattutto schierando gli allora avanzati MiG-15, è oggi quasi votata al sacrificio, in caso di conflitto aperto. Il grosso della Korean People’s Army Air Force (KPAAF) è infatti formato da velivoli di terza e addirittura seconda generazione, che comprendono circa 500 esemplari dei quasi 600 in organico. Tra questi figurano pertanto autentici pezzi da museo, come il bombardiere H-5, e i caccia F-6 ed F-5, versioni cinesi, rispettivamente, dell’antidiluviano bireattore da bombardamento Il-28 BEAGLE, e dei caccia leggeri MiG-19 e MiG-17, aerei progettati con Stalin ancora vivo, sebbene prodotti dalla Cina sino agli anni ’70. Quasi altrettanto datati i cacciabombardieri Su-7 (ormai quasi radiati), mentre gli intercettori leggeri MiG-21 PFM/MF, MiG-21 Bis e quelli medi MiG-23ML rappresentano la vera spina dorsale della KPAAF, con oltre 150 velivoli in servizio, compresa la copia F-7B cinese acquistata nel 1988-1991, e decine di altri radiati per cannibalizzazione, o da impiegare come falsi bersagli. I velivoli più moderni sono quelli arrivati a fine anni ’80: ossia i Su-25K da attacco (36 esemplari consegnati nel 1988-1990), e i caccia multiruolo MiG-29 (FULCRUM-A). Questi ultimi dovrebbero essere stati acquisiti dall’URSS nel 1988-1990 in una quarantina di esemplari, tra cui anche una quindicina in variante MiG-29S (FULCRUM-C, dotata di un extra dorso, che permette di aumentare la dotazione avionica e quella di carburante, nonché di altre migliori al radar ed al sistema di controllo del volo), assieme a lotti di missili aria-aria R-27 e R-60. Con Mosca si era concordato la possibilità di assemblare tali velivoli localmente, mediante la spedizione di kit, ma l’operazione si è fermata dopo pochi esemplari a causa dei numeri ridotti e dei limiti strutturali dell’industria locale. Anche per questi velivoli, i più pregiati della collezione, ci si è successivamente limitati ad upgrade locali sfruttando la capacità di produzione nazionale di pezzi di ricambio e di riproduzione di alcuni apparati. Il resto della flotta comprende circa 150 velivoli da addestramento (compresa la vecchissima versione cinese del MiG-15, FT-2), pochi aerei da trasporto, un numero imprecisato di silenziosi monomotori biplani An-2, impiegati per l’inserzione di commandos e forze speciali, e quasi 200 elicotteri, compresi Mi-24 da attacco e Mi-8TV da trasporto tattico acquistati circa 30 anni fa, 4 Mi-26 da trasporto pesante venduti dalla Russia nel 1995-1996, e alcune decine dei MD-500D ottenuti negli anni ’80 aggirando l’embargo americano. Se il materiale non è certo garanzia di successo, anche nel caso di un limitato conflitto con la sola, agguerritissima e sofisticata, Aeronautica Sudcoreana, nemmeno la preparazione del personale fa ben sperare. La crisi degli anni ’90-2000 aveva comportato una drastica riduzione delle ore di volo per pilota (15-20 ore l’anno), mentre incidenti e mancanza di parti di rispetto hanno assottigliato la flotta. Tuttavia, negli ultimi 5 anni, l’intelligence sudcoreana ha rilevato un incremento sempre più sensibile nell’attività addestrativa, anche se il crescente isolamento del regime ha ridotto gli scambi con le forze aeree russe e cinesi. Resta il fatto che in termini di training, siamo lontani anni luce dalle circa 150 ore l’anno dei piloti dell’Aeronautica Sudcoreana. Decisamente più rosea la situazione delle basi e delle infrastrutture della KPAAF. La sua struttura è incentrata su 3 divisioni da combattimento, 2 da trasporto e una da addestramento, che comprendono in media una mezza dozzina di pedine (reggimenti aerei), più i comandi logistici delle basi. Memori dei danni inflitti dall’USAF alle forze aeree in Iraq, Libia e Serbia, i Nordcoreani hanno rafforzato al massimo le difese, attive (affidate a cannoni radar guidati e SAM, sebbene ormai datati), e passive, scavando talvolta nelle montagne per realizzare depositi, hangar e piste di decollo protette, come a Onchon-up. Tra le altre basi più importanti, Kaechon difende gli impianti nucleari di Yongbyon, Pukchang ospita 2 reggimenti con i MiG-21 e MiG-23 più efficienti, mentre Sunchon opera con i “gioielli” della KPAAF,ovvero i MiG-29 ed i Su-25. Ci sono poi numerose piste semipreparate e basi minori decentrate, impiegate soprattutto dagli An-2 e dagli elicotteri, ma anche sedimi di emergenza per i MiG-21. Una capillare presenza logistica che obbligherebbe una forza aerea attaccante, già concentrata sugli assetti missilistici e sulle migliaia di pezzi d’artiglieria nordcoreani, a fare gli straordinari. Anche se i rischi nell’attaccare tali infrastrutture sembrano relativi. Durante la guerra del 1950-1953 le difese antiaeree nordcoreane, che avevano ricevuto centinaia di cannoni a tiro rapido e radar di controllo, avevano fatto pagare agli aerei da attacco alleati un prezzo pesante. Dagli anni ’60, il sistema di difesa aereo ha assunto la tipica conformazione a strati di scuola sovietica, con un’abbondante dotazione di radar di vari modelli, missili SAM a lungo, medio e corto raggio, integrati poi da più moderni sistemi di difesa a maglie strette, con pezzi semoventi dotati di radar e MANPADS. Un modello rivelatosi efficace in alcuni teatri bellici a cavallo tra anni ’60 e ’70 (Vietnam, Medio Oriente), ma presto superato dalle contromisure tattiche, e soprattutto tecnologiche, sfornate dalla superiore industria occidentale. Nonostante le lezioni della Guerra del Golfo e del Kosovo siano state attentamente studiate, Pyongyang mantiene pertanto ancora uno schieramento di difesa aerea sicuramente abbondante nei “numeri” (si parla di 10-15.000 “pezzi”, anche se il grosso riguarda cannoni in postazioni fissa e vecchi MANPADS), ma superato anche rispetto agli scenari di 20-25 anni fa. Né è stato possibile al regime assicurarsi sistemi russi di nuova generazione e di efficacia maggiore, come gli S-300 ed S-400 che in Siria obbligano gli aerei USA ed occidentali a fare molta attenzione. L’unico sistema SAM moderno è il KN-06 a lungo raggio (prodotto locale derivato da una riprogettazione di S-300 e HQ-9/FT-2000, quest’ultimo derivazione cinese dello stesso S-300), che nel 2016 ha effettuato dei test, che sembrano riusciti, ma che non è ancora operativo Per il resto, il regime, come già osservato, affida la difesa antiaerea basata a terra ad un sistema integrato servito da una rete radar di scoperta ed allerta costituita da vecchi radar russi (P-8/10, P-12, P-14, P-15 in varie versioni, P-35/37 e P-80) e cinesi (JY-8), cui si sarebbero aggiunti i più recenti KASHEF da allarme precoce dell’iraniana SAIRAN. Questa rete ha il compito di scoprire per prima le minacce aeree e passare le tracce alle batterie aeree organizzate in maniera stratificata a partire dai sistemi a medio-lungo raggio, tutti di fabbricazione sovietica, SA-5/S-200, SA-2/S-75 DVINA e SA-3/S-125 PECHORA (quelli che abbatterono nel 1999 un aereo stealth USAF F-117 in Serbia). Si parla di oltre 50 siti SAM a medio-lungo raggio. Il secondo anello è costituito dalle batterie a corto-medio raggio basate su sistemi mobili SA-6 e presumibilmente sui più moderni BUK, anche questi sistemi di epoca sovietica. Infine, il terzo anello è costituito dai sistemi missilistici a spalla – centinaia di vetusti SA-7 GRAIL/STRELA e SA-16/18 IGLA, tra cui delle versioni più recenti realizzate localmente – dall’artiglieria contraerea che dispone, come accennato, di alcune centinaia di semoventi binati da 57 mm ZSU-57/2 e quadrinati da 23 mm ZSU-23-4, relativamente validi, e da migliaia di pezzi a traino e fissi: dai KS-30 da 130 mm, ai KS-19 da 100 mm, passando per gli S-60 da 57 mm ed i binati cinesi Type 65 da 37 mm, ecc.