RIVISTA ITALIANA DIFESA
L’Esercito Nordcoreano minaccia Seul 13/04/2017 | Pietro Batacchi e Giuliano Da Frè

L’Esercito Nordcoreano (o Korean People’s Army Ground Force-KPAGF) è il classico strumento totalitario del XX secolo. Un’armata di popolo rafforzata con riservisti e milizie paramilitari, massicciamente corazzata e meccanizzata. I numeri sulla carta sono imponenti. Su una popolazione di 25 milioni di abitanti, si calcola che la forza attiva in armi (sebbene spesso impiegata per opere di pubblica utilità, raccolti agricoli compresi) impieghi 1.200.000 effettivi, cui si aggiungono 1.700.000 riservisti di pronta mobilitazione, e 5 milioni di uomini e donne inquadrati nelle unità paramilitari, per lo più nella Milizia Popolare, richiamabili tra i 17 e i 60 anni di età. Le forze di terra monopolizzano ovviamente buona parte del personale, con 1,3 milioni di effettivi, attivi e non. I numeri dell’arsenale terrestre non sono meno imponenti. Pur con qualche discrepanza tra le fonti, si stima la presenza (in servizio o stoccati nei magazzini) di 4.200 carri armati, di circa altrettanti APC (Armored Personnel Carrier) e IFV (Infantry Fighting Vehicle) cingolati e ruotati, e – il dato più impressionante – di un parco d’artiglieria calcolato tra i 10.000 e i 13.000 pezzi, per lo più a traino, ma compresi 5.000 semoventi tra cannoni e lanciarazzi, cui si aggiungono 11.000 pezzi contraerei e migliaia di cannoni e lanciamissili anticarro. Tuttavia, luci e ombre vertono sull’aspetto umano, sul livello qualitativo del materiale, sulla preparazione dottrinaria (che tipo di guerra si vuol fare). Il primo punto rappresenta un’evidente incognita. Le Forze Armate nordcoreane sono basate sul fanatico culto della personalità dei leader della famiglia Kim. L’addestramento paramilitare viene inculcato sin dall’infanzia, e quello militare è intenso. Però dopo la guerra del 1950-1953 Pyongyang non ha accumulato altre esperienze belliche su vasta scala (al contrario dei suoi potenziali avversari, sudcoreani compresi), i soldati vengono spesso impiegati come manovalanza, mentre la scarsità di carburante limita l’addestramento; e anche i quadri risentono della scarsa esperienza operativa, della chiusura del regime, e delle ricorrenti purghe, mentre gli ultimi veterani del conflitto coreano sono usciti di scena da un decennio. Il livello del materiale è inversamente proporzionale al potenziale numerico, e la maggior parte dei mezzi disponibili farebbe la sua bella figura in un museo degli armamenti sino-sovietici degli anni ’40 -‘70. Carri armati T-34, T-55, e la variante cinese Type-59 , T-62 e T-72, oltre ai carri leggeri PT-76 e T-63/85 rappresentano il grosso della forza d’urto, al pari dei blindati trasporto truppe ruotati BTR-152, -50, -60, e cingolati BPM-1. Va però detto che l’industria militare nordista non solo assicura un’abbondante produzione di parti di ricambio e munizioni, ma anche una crescente capacità autarchica di trasformare vecchi sistemi d’arma, e di ricavarne di nuovi, più avanzati, sebbene nei limiti delle capacità tecnologiche locali. E così, per esempio, non solo T-55 e T-62 sono stati aggiornati con corazze reattive, e nuovi motori e sensori, ma la rielaborazione di progetti più recenti ha portato alla costruzione, dal 1992, di circa 500 carri POKPUNG-HO (carro indigeno che combina elementi dei russi T-62 e T-72 e del cinese Type-80 e di cui è disponibile anche una variante introdotta nel 2002 armata con cannone da 125 mm), e di un migliaio di più modesti CHONMA-HO, rielaborazione del T-62, in produzione dal 1980. Analogo il percorso seguito per la componente IFV/APC, in questo caso legata allo sviluppo locale di copie del BTR-80, denominate localmente M-2010, di ibridi come l’M-2009, che combina lo scafo del carro leggero anfibio PT-85 con la torre del BTR-80, di copie dell’APC cingolato cinese Type-63 ecc. Restano tuttavia mezzi inferiori al materiale sudcoreano e occidentale, e anche agli equipaggiamenti cinesi, laddove si registrasse un intervento di Pechino. Il vero nodo da sciogliere è quello della strategia operativa che l’alto Comando di Pyongyang seguirebbe, ovviamente riferendoci all’impiego di sole armi convenzionali, e non dell’arsenale chimico o nucleare, e nel quadro di un conflitto breve e improvviso, poiché il tempo giocherebbe a svantaggio della Corea del Nord, che avrebbe problemi a sostenere uno sforzo bellico convenzionale prolungato per via della cronica penuria di carburante e viveri. Anche con i soli proiettili convenzionali e i razzi, Seul e molte città e insediamenti industriali sarebbero nel raggio di tiro di una massiccia e improvvisa offensiva di artiglieria. Il bombardamento effettuato nel 2010 da alcune batterie nordcoreane sull’Isola di Yeonpyeong è un monito sufficiente. Si stima che nella sola prima ora, le bocche da fuoco nordiste possano sparare qualcosa come mezzo milione di colpi, sino a 100 km di distanza, e Seul è ad una cinquantina di chilometri dal confine: i danni e il numero di vittime nelle città sudiste vicine alla frontiera sarebbero rilevanti. Parte dei sistemi d’artiglieria è basata su semoventi, come i poderosi pezzi da 170 mm M-1978 KOKSAN, spesso ospitati in grotte e caverne, al pari di depositi e centri logistici, grazie a un lavoro da talpe iniziato oltre mezzo secolo fa: e questo costringerebbe le forze aeree alleate a concentrarsi sulla loro distruzione, distraendole da altre missioni. Agli obici bisogna, poi, aggiungere, i lanciarazzi camplai pluritubo come gli M-1985 e M-1991 da 240 mm, con gittate fino a 60 km, e i più moderni e prestanti KN-09 da 300 mm con gittata fino a 100 km. Verosimilmente i piani d’attacco nordcoreani non puntano a un’avanzata aeroterrestre su larga scala in stile blitzkrieg. Alla luce dei conflitti più recenti, infatti, attentamente studiati dai vertici comunisti per far pagare ad un eventuale avversario il prezzo più alto possibile, le forze di terra sono state riorganizzate dopo il 1992 affiancando al tradizionale sistema sovietico che struttura l’esercito (organizzato su 20 corpi e diverse unità autonome) in reparti di manovra corazzati e meccanizzati, e scaglioni di fanteria di supporto di seconda e terza categoria, una crescente componente di forze speciali. Sin dagli anni ’60 i Nordcoreani avevano puntato su reparti speciali capaci di infiltrarsi dal mare e dall’aria per compiere sabotaggi e creare confusione nelle retrovie e nei centri di comando nemici, ma su anche unità d’assalto leggere destinate a superare la Zona Smilitarizzata lungo il 38° Parallelo sfruttando dei tunnel appositamente costruiti, nonché il fatto che la presenza di Seul e di altre importanti città vicino al confine impedisce ai Sudcoreani di scaglionare la difesa in profondità. Oggi si calcola che siano 200.000 gli effettivi - reparti aviotrasportati, fanteria leggera d'assalto, forze speciali e forze anfibie - addestrati ad operazioni ibride, colpi di mano, infiltrazioni ecc.; il che però potrebbe aver ulteriormente impoverito la qualità dei reparti convenzionali, sottraendo loro i migliori elementi. Proprio questa strategia ibrida su vasta scala, fatta di attacchi portati da reparti appositamente addestrati ad operare dai tunnel o da nuclei di sabotatori (favoriti dalla comune etnia) capaci di infiltrarsi in territorio sudcoreano con mezzi navali speciali e piccoli aerei come gli An-2 (presenti in gran numero nell’arsenale nordcoreano), e il devastante potenziale di fuoco dell’artiglieria, potrebbero rendere difficile affrontare i rischi di un conflitto aperto con Kim Jong-un. Anche senza considerare l’impiego di armi non convenzionali.


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