RIVISTA ITALIANA DIFESA
NATO vs Russia: torna la deterrenza 07/02/2017 | Giuseppe Amato (Maggiore, JFC Brunssum)

Tra le decisioni intraprese durante il vertice del Galles (2014), vi fu quella di istituire, nell’ambito del cosiddetto Readiness Action Plan1 (RAP), una nuova forza multinazionale come parte della NATO Response Force (NRF) che costituisse una “punta di diamante”: la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF). La VJTF, a distanza di circa 2 anni dal vertice, è diventata una realtà ed essa costituisce una “capacità operativa” che la NATO possiede e al tempo stesso rappresenta una forte leva di deterrenza.

In tal modo l'Alleanza ha fatto un importante passo in avanti verso la creazione di una forza con un elevato e credibile potenziale di deterrenza. E’ necessario comunque considerare che una deterrenza credibile richiede non solo adeguate capacità militari, come appunto la VJTF, ma richiede anche un’adeguata dottrina, e quindi una rinnovata “cultura” del processo decisionale e di comunicazione.

Capacità, dottrina e cultura sono quindi le chiavi necessarie per una postura di deterrenza credibile.

 

Capacità: la “enhanced NRF” (eNRF) e la VJTF

Dopo il vertice NATO del Galles, la leadership della NATO ha più volte ribadito che la VJTF, essendo una forza di reazione rapida, darà maggiore credibilità alla capacità dell'Alleanza di contrastare una qualsiasi aggressione militare contro i suoi membri. Purtroppo, soprattutto gli stati dell’estrema periferia orientale hanno più volte evidenziato che quest’affermazione risulta essere troppo forte poiché la VJTF rappresenta una capacità ad elevata prontezza e quindi una forza in grado di intervenire con maggiore velocità rispetto al passato (alla NATO Response Force – NRF), ma con un “tono muscolare” che potrebbe non scoraggiare la Russia al punto tale da impedirle di intraprendere azioni come quella intrapresa qualche anno fa in Ucraina.

A regime la nuova eNRF (di cui il VJTF sarà l'elemento ad alta prontezza) sarà 3 volte più robusta/forte di quanto non fosse in passato la NRF. Infatti, come annunciato in più occasioni dal Segretario Generale della NATO, Jens Stoltemberg, la eNRF sarà composta da circa 40.000 uomini contro i 13.000 uomini che costituivano la cosiddetta Immediate Response Force (IRF) della NRF (periodo pre-Galles, mentre non era determinata l'ampiezza del cosidetto Response Forces Pool, RFP, ovvero la secondo tipologia di forze, a minore prontezza, della "vecchia" NRF).

Tuttavia, per arrivare a una forza di 40.000 uomini, la NATO ha fatto ricorso a uno “stratagemma” che per certi versi può essere definito “creativo”.

Prima del vertice NATO del Galles, quando l'Alleanza contava le sue forze ad alta prontezza, si concentrava esclusivamente sui 13.000 uomini che costituivano la IRF (Immediate Response Force), soldati pronti ad intervenire laddove ce ne fosse stato bisogno (tale forza era in uno stato di stand-by). In questo conteggio, non venivano considerati nè i 13.000 uomini che si stavano preparando per sostituire l’anno successivo i 13000 della IRF nè tantomeno i 13.000 che avevano appena finito la loro turnazione di IRF e che si trovano nello stato di stand-down.

La nuova eNRF fa sostanzialmente 2 cose: in primo luogo, accelera il tempo di reazione delle forze poste in stand-by; in secondo luogo, “unisce” le altre 2 aliquote di personale e cioè quelle poste in stand-up e quelle poste in stand-down (per un totale di 26.000 uomini) etichettando questa forza Initial Follow-on Forces Group (IFFG). La IFFG costituisce una forza ad alta prontezza che in caso di bisogno si schiera entro 45 giorni.

La nuova NRF è uno strumento militare più agile rispetto al suo predecessore. Infatti, sia la VJTF che la IFFG hanno un livello di allerta molto più alto rispetto alla NRF. Basti considerare che aliquote (il posto di comando avanzato ed un battaglione di manovra) della VJTF sono proiettabili entro 48 ore (e l'intera VJTF in 5 giorni), mentre la ormai superata IRF aveva bisogno di un periodo di 30 giorni per proiettarsi. Anche i programmi di addestramento, sia per la VJTF che per la IFFG, sono più rigorosi e demanding. Poter disporre di una forza più prontamente impiegabile con ridottissimi tempi di schieramento fornisce all’Alleanza un’importante capacità, ma rende l’intero dispositivo molto più costoso.

Quello che è veramente nuovo in questo progetto, non sono i miglioramenti in campo militare, ma il fatto che per la prima volta questa forza a elevata prontezza è legata in modo esplicito al concetto di difesa collettiva e quindi all’Articolo 5 del Trattato Atlantico. Infatti, sin dalla sua creazione nel 2002, la NRF è stata sempre percepita come veicolo di trasformazione e - se necessario - una capacità operativa per operazioni fuori area.

Tuttavia, gli eventi accorsi in Ucraina hanno reso chiaro ai politici che gli alleati alla periferia della NATO avevano e hanno bisogno di assicurazioni e di certezze, e la riformulazione politica sulla NRF è diventata la risposta ovvia. La domanda da porsi a questo punto è la seguente: dal momento che l’Alleanza dispone di questo “nuovo strumento militare” modellerà di conseguenza anche la sua dottrina?

 

Dottrina: ritorno alla deterrenza

La logica alla base della deterrenza è quella di inviare un segnale forte agli aspiranti aggressori - come ad esempio la Russia – facendo percepire loro che i confini della NATO sono off limits. La deterrenza può assumere forme diverse. L'opzione politicamente più conveniente per la NATO è la forma di deterrenza cosiddetta “by denial”(negazione) - con cui la NATO negherebbe l'accesso al suo “territorio” e alle sue ricchezze da parte della Russia. Ciò equivale a sancire l'inviolabilità di tutto il territorio dell’Alleanza. La deterrenza dalla negazione implica principalmente 3 cose: in primo luogo, lo schieramento di una forza credibile sul confine orientale dell'Alleanza, forza pronta a reagire per fronteggiare l’eventuale aggressione russa; in secondo luogo, una rivolta preparata nell'eventualità che le forze russe penetrino parte del confine, al fine di negare loro la possibilità di stabilirsi in questi territori; infine, la capacità di spostare persone e ricchezze fuori della zona “occupata” in modo da negare alla Russia di impossessarsene.

Ci sono comunque almeno 2 problemi con questa forma di deterrenza (denial). Infatti, se la Russia fosse davvero interessata a “occupare” uno degli Stati Baltici – o comunque uno stato alleato ad esso confinante - molto probabilmente non sarebbe dissuasa nè dalla prospettiva di una rivolta, nè tantomeno dalla perdita di parte delle ricchezze. Da ciò consegue che almeno queste 2 dimensioni (rivolta e diniego del possesso di ricchezze/risorse) non possono essere conteggiate nell'equazione.

Da ciò consegue che la detrrence by denial si concretizza quasi esclusivamente con lo schieramento di una forza credibile e pronta. La NATO non è però disposta a schierare un’unità grande quanto una brigata (circa 5.000 soldati) perché ciò significherebbe sia violare l’Atto istitutivo del patto NATO-Russia del 1997 (Founding Act on Mutual Relations, Cooperation and Security between NATO and the Russian Federation) e sia un elevato costo per i contribuenti occidentali. Inoltre, si rischierebbe di impiegare delle forze con una postura avanzata e statica in controtendenza con l’elevata dinamicità della minaccia.

Alla luce di queste considerazioni, la NATO dovrebbe ripiegare su un altro tipo di deterrenza. La cosiddetta “deterrenza della punizione” (deterrence by punishment). Con questa forma di deterrenza, la NATO deve accettare lo scenario secondo il quale una parte del suo territorio (ad esempio, gli Stati baltici) è vulnerabile a un’eventuale aggressione russa, ma dall’altra parte sarebbe pronta a reagire con una risposta decisa, immediata e massiccia in posti importanti per la Russia (ad esempio, Kaliningrad, Murmansk, o anche Vladivostok) in modo tale da farla desistere dall'intraprendere un’azione di questo tipo. A tal proposito, va notato che la nuova NRF costituisce uno strumento che permette alla NATO di mostrare i propri muscoli in ogni posto essendo essa una forza credibile e in grado di muoversi rapidamente. Al tempo stesso, però, essa rappresenta in qualche modo un ritorno al passato. Infatti con questa forza, l’Alleanza prepara ed organizza forze (di tipo convenzionale) da inserire nella logica della generale dottrina della deterrenza.

Questa opzione di deterrenza convenzionale potrebbe comportare una certa escalation e diventare quindi un’opzione costosissima, oltre ogni pronostico. Diversamente, se di ritorno al passato si deve parlare, allora la NATO potrebbe ripiegare sulla deterrenza nucleare, che rappresenta una forma di deterrenza molto più conveniente e molto probabilmente più efficace.

In ultima analisi, la NATO potrebbe optare per un mix di forze, infatti la “Defence and deterrence review” del 2012 parla proprio di un “adeguato mix di capacità convenzionali e nucleari”. Questo però non fa altro che alimentare una certa ambiguità che sta in qualche modo aiutando la Russia a scegliere la sua migliore opzione di deterrenza. In ogni caso, non dovrebbe esserci nessun dubbio sul fatto che se la NATO non può fare “deterrence by denial”, deve comunque confrontarsi con il fatto che la “deterrence by punishment” definisce l'elemento imprescindibile nella sua postura di deterrenza.

 

Cultura: base essenziale per un’Alleanza sempre più credibile

Il soft power rappresenta la spina dorsale del concetto di deterrenza, se per soft power si intende la capacità di trasmettere, ad un ipotetico aggressore, determinazione. Due aspetti importanti a riguardo sono: il decision-making e la strategic communication (STRATCOM). Essi poi si legano con un terzo aspetto: l'opinione pubblica. In alcuni paesi dell’Alleanza, l’opinione pubblica in qualche modo sta facendo leva sui rispettivi governi poiché è contraria all’idea che il proprio Paese possa intervenire a difesa di altri alleati. In questi casi solo un chiaro processo di decision-making e un’accurata strategic communication può aiutare a superare questo step.

Il processo decisionale a livello NATO è fondamentale poiché influisce direttamente sulla velocità d’intervento e quindi sulla credibilità dell’Alleanza. Decisioni rapide sono essenziali se la VJTF deve schierarsi in aree di crisi entro 48 ore (le autorità militari della NATO possono assemblare la forza, ma l'approvazione politica è necessaria per la proiezione ed il successivo ingaggio). La NATO può aggiornare il suo processo di decision-making, per renderlo più veloce, ma spetta sempre agli stati alleati prendere la decisione in accordo con i regolamenti nazionali, considerando anche il fatto che in molti di questi Paesi è necessaria anche l’approvazione del parlamento prima che la forza possa schierarsi in un’area di crisi.

Oltre alla questione della velocità del processo di decision-making, vi è anche l’aspetto legato alla credibilità. Parlare di credibilità, presuppone prima di tutto l’individuazione degli interessi vitali dell’Alleanza (ad esempio: No violazione degli spazi della NATO) e far assumere al potenziale avversario la consapevolezza che qualora violi questi interessi, la risposta da parte dell’Alleanza sarà immediata e forte (secondo la logica della deterrenza per punizione).

Infine, la comunicazione strategica intesa come aspetto culturale in senso più ampio è di fondamentale importanza, soprattutto considerando che i moderni conflitti avvengono prevalentemente nel dominio cognitivo. Attraverso la comunicazione strategica è necessario far acquisire al popolo/contribuente che l’Alleanza rappresenta una risorsa per il Paese e che ogni investimento del proprio governo in termini di sicurezza, rappresenta un investimento per il bene e la prosperità futura (attualmente solo 5 Paesi su 28 destinano il 2% del proprio bilancio (PIL) alla Difesa, questo è il limite considerato dalla NATO essenziale per poter garantire all’Alleanza un livello di operatività accettabile).

 

Conclusioni

Il 7 e 8 luglio scorso si è concluso il vertice di Varsavia, dove gli alleati hanno discusso, tra le varie cose, anche il RAP e si sono fatti i primi bilanci dal momento che la VJTF è ormai una realtà in ambito NATO, come sono realtà le 8 NFIU (NATO Force Integration Unit). Sono queste, misure necessarie per garantire una forma di deterrenza nei confronti della Russia. Ovviamente gli Alleati che insistono lungo il confine russo vorrebbero delle misure di deterrenza sempre più massicce e imponenti, anche al limite della violazione del patto NATO-Russia del 1997. Essi infatti preferirebbero una forma di deterrenza del tipo “denial”. Dall’altra parte, vi sono nazioni che preferirebbero concentrare l’attenzione dell’Alleanza in altre aree per fronteggiare altre tipologie di rischi/minacce e quindi più inclini verso una forma di deterrenza del tipo “punishment”. Alla fine gli alleati hanno trovato un compromesso che ha accontentato tutti i membri. Sarà portata avanti la politica della deterrenza ad est con una predilezione per la “deterrenza della punizione”.

Da ciò è facile desumere che in un prossimo futuro, se da un lato è molto improbabile che l'Alleanza e la Russia possano stabilire una nuova partnership strategica, dall’altro né la NATO né Mosca hanno interesse ad avere un rapporto altamente conflittuale. Così, mentre la deterrenza è tornata di moda, anche il dialogo e la distensione stanno pian piano venendo alla ribalta, nello spirito di Pierre Harmel che quasi 50 anni fa, dava forma al primordiale approccio di deterrenza cooperativa tra NATO e Unione Sovietica.


Condividi su:  
    
News Forze Armate
COMUNICATI STAMPA AZIENDE