RIVISTA ITALIANA DIFESA
UCAV 24/02/2014 | Pietro Batacchi

 

 Al di là delle iniziative di pooling and sharing a lungo

raggio già avviate in ambito NATO ed UE, il settore dove oggi più che mai sarebbe fondamentale mettere in comune capacità e risorse è quello degli UCAV (Unmanned Combat Aircraft Vehicle). C’è poco da dire, se non che dall’UCAV dipende il futuro stesso

dell’industria aerospaziale e della Difesa europea. L’Europa dopo, purtroppo, aver perso il treno dei velivoli di quinta generazione, non può permettersi di rimanere al palo, rispetto agli USA, in un settore ad alta tecnologia ed apporto di “know how” come questo. Ma per tenere il passo degli USA, che già partono, anzi, sono partiti, in vantaggio, in un campo dove i costi di sviluppo sono altissimi, non ci sono alternative alla cooperazione ed alla strutturazione di partnership per condividere costi di sviluppo e non ricorrenti, acquisizione e gestione. E qui si aprono le “dolenti note”. Anche perché l’Europa sta continuando a giocare con l’equivoco dell’UAV MALE (Medium Altitude Long Endurance) riaffiorato anche al tanto atteso vertice dell’UE del 19 e 20 dicembre, con i temi della Difesa in cima all’agenda, che alla fine ha ri/lanciato, appunto, il MALE europeo. In realtà come abbiamo già avuto modo di sottolineare, ci pare un’iniziativa ormai fuori tempo massimo – il progetto, infatti, dovrebbe realizzarsi tra il 2020 ed il 2024, con l’avvio delle attività di ricerca e sviluppo quest’anno - soprattutto se si pensa che il mercato europeo dei MALE è dominato da prodotti americani quali PREDATOR e REAPER o da prodotti dell’industria israeliana (HERON). Nel Vecchio Continente esiste ormai un’expertise consolidata tra piloti ed operatori per ciò che concerne i suddetti prodotti ed una “cultura della macchina” che blinderà il mercato degli UAV ancora per i prossimi 10 anni. L’Europa, dunque, è bene che si renda conto che il treno degli UAV è perso e che, dunque, è quanto meno anti-economico optare su una tipologia di prodotto la cui tecnologia, tra 10 anni, inizierà ad essere vecchiotta o, quanto meno, non più così pregiata.

Stando così le cose non si capisce perché l’Europa nel suo insieme si ostini a non imboccare la strada dell’UCAV, ovvero di un vero e proprio Eurofighter TYPHOON non pilotato. Qualcuno ha sostenuto che ad oggi si tratta di una scelta rischiosa – che richiede un processo graduale che passi dapprima, appunto, dal MALE – ma non vi può essere innovazione, crescita e maturità industriale senza rischio. Anzi, oggi più che mai, senza rischio c’è il declino. E’ bene, pertanto, che anche l’industria aerospaziale si dia una mossa in questo senso. Del resto alcuni interessanti progetti di dimostrazione tecnologica già ci sono. Occorrerebbe soltanto mettere ordine ed evitare duplicazioni o, peggio, una perniciosa proliferazione come purtroppo sta accadendo. Il programma NEURON, dopo il primo volo del dimostratore effettuato a dicembre 2012 nella base francese di Istres, è definitivamente entrato nel vivo con i test volti a valutare il profilo di bassa osservabilità e le caratteristiche aerodinamiche del velivolo, dopo l’apertura dell’inviluppo di volo, in vista delle prove di riconoscimento del bersaglio e dello sgancio di un primo ordigno dalla Smart Integrated Weapons Bay. Il programma servirà a valutare tutta una serie di tecnologie - dalla stealthness, alla modalità autonoma di guida e di riconoscimento/attacco di un bersaglio – ed accumulare la maggiore quantità possibile di conoscenza.

Un altro analogo programma di dimostrazione tecnologica nel settore è il TARANIS britannico. A differenza del NEURON, il TARANIS è uno sviluppo interamente nazionale portato avanti dal MoD e dalla BAE Systems. Il TARANIS è stato ufficialmente presentato nel 2010 ed ha effettuato il primo volo nel poligono di Woomera nell'Australia del Sud a fine 2013. Come nel caso del NEURON, anche il TARANIS mira a dimostrare la capacità di seguire autonomamente un percorso preprogrammato, effettuare una missione di ricognizione individuando potenziali bersagli e sfuggendo a potenziali atti ostili ed attaccare i bersagli individuati (con le armi appositamente trasportate nelle 2 stive ventrali) previa autorizzazione del controllo missione.

Resta il problema che a fianco di queste 2 iniziative ne è sorta anche un’altra, ovvero il programma Future Combat Air System (FCAS), lanciato nel quadro degli accordi di Lancaster dell’autunno 2010 tra Francia e Gran Bretagna. Il programma, completata la fase di riduzione del rischio e di definizione del requisito, è di recente entrato nel vivo con l'accordo tra i due Paesi per lanciare uno studio di fattibilità biennale da 120 milioni di sterline. L’obbiettivo è quello di portare entro il 2020 ai collaudi un prototipo di UCAV. In questo quadro sono iniziati i colloqui con i motoristi – Snecma e Rolls-Royce – e per l’avionica e i sensori con Thales e SELEX ES, comunque coinvolte anche nel NEURON.

Come si vede il quadro è molto frammentato e l’insieme di queste iniziative, ostacolato anche dalla riduzione dei fondi, non fa certo bene ad un vero e credibile programma per un UCAV europeo. Pertanto i governi, e le industrie, quanto meno quelle dei Paesi del Vecchio Continente più importanti (tra i quali, è bene ricordarlo, c’è anche l’Italia), dovranno prima possibile maturare la consapevolezza che il futuro del settore aerospaziale in Europa passa inevitabilmente dalla strutturazione di una vera cooperazione per un velivolo non pilotato da combattimento in grado di costituire la spina dorsale delle aeronautiche europee del futuro. I governi dovranno lavorare per armonizzare gli interessi e le industrie per limitare gli egoismi rendendosi conto che è in gioco la sopravvivenza di un sistema economico ed industriale all’avanguardia.


Condividi su:  
    
News Forze Armate
COMUNICATI STAMPA AZIENDE