Nelle scorse settimane si sono intensificati gli scontri tra le milizie che sostengono il Governo di Unità Nazionale, guidato dal Premier Serraj, e i seguaci di al-Baghdadi asserragliati nella zona centrale di Sirte, occupata dal giugno 2015, in un assedio che ormai dura da oltre 2 mesi nell’ambito dell’Operazione AL-BUNYAN AL-MARSOOS per la riconquista della città. In particolare, nel corso delle ultime 2 settimane, sono stati effettuati diversi bombardamenti con fuoco di artiglieria e supporto di un paio di elicotteri Mi-35 gestiti dalle milizie di Misurata, intorno all’ex complesso congressuale Ouagadogou attuale Quartier Generale di ISIS, l’ospedale Ibn Sina, l’università e nei quartieri Ghiza Alaskiriya, Algharbiyat; tutti situati nella parte meridionale della città dove è stato ricacciato il grosso delle forze di Daesh (non più di 8/900 uomini, rispetto ai quasi 3.000 stimati prima dell’offensiva). A guidare l’offensiva ci sono le milizie misuratine che avanzano dall’area occidentale della città, supportate da un consistente contingente delle Petroleum Facilities Guards guidate da Ibrahim Jadhran, presenti nella zona orientale di Sirte. Dopo i primi e rapidi successi nell’eliminazione delle unità appartenenti al “califfato” sulle zone costiere della città e, in particolare, nel porto di Sirte, nelle zone adiacenti alle infrastrutture portuali e nel quartiere Sawawa, le forze del GUN, che operano da una staging base situata nel quartiere di Zaafran, nell’area costiera occidentale, hanno proceduto alla bonifica della strada che ad est collega il quartiere Harawa al centro della città. Tuttavia, nelle ultime settimane la battaglia si è trasformata in una vera e propria guerriglia urbana, combattuta strada per strada, prima nelle aree residenziali e ora nella parte centrale di Sirte, con le forze del ”califfato” incapaci di ingaggiare frontalmente le forze nemiche, con conseguente scelta in favore di una strategia di resistenza basata sulla guerriglia, su attacchi “mordi e fuggi” e sul largo utilizzo di fuoco di cecchini situati sui tetti dei tanti edifici presenti. Finora, nonostante l’arretramento delle forze di al-Baghdadi, la tattica ha inflitto perdite consistenti tra le fila misuratine (360 caduti e 1.300 feriti). Così si spiega il raid avvenuto nel pomeriggio del 1 agosto, quando alcuni velivoli americani hanno effettuato un bombardamento contro postazioni di ISIS nell’area di Sirte, eliminando 3 veicoli corazzati, tra i quali un carro armato T-72. L’attacco aereo, avvenuto in seguito ad una specifica richiesta del Consiglio di Presidenza guidato dal premier libico Serraj, rappresenta il secondo raid aereo americano del 2016, dopo il bombardamento avvenuto lo scorso febbraio ad opera di una coppia di F-15E STRIKE EAGLE del 48 Fighter Wing di Lakenheath, ai danni di un campo di addestramento di Daesh situato nell’area ad ovest di Sabratha. Il raid di agosto ufficializza l’inizio di un coinvolgimento statunitense più intenso rispetto al conflitto libico. Come comunicato dallo stesso Pentagono, infatti, si è trattato di un primo bombardamento che verrà seguito da altre incursioni nei prossimi giorni, secondo un’operazione suddivisa in 3 diversi fasi. Una prima fase (Odyssey Resolve) caratterizzata dall’utilizzo di velivoli UAV in missioni ISR, iniziata lo scorso weekend; una fase intermedia (Junction Serpent), svolta dalle FS, in cui vengono fornite le informazioni riguardanti il posizionamento ed il targeting degli obiettivi; e una fase finale (Odyssey Lightning), che prevede il bombardamento e l’eliminazione degli obiettivi con un mix di velivoli manned ed unmanned. Nello specifico, il raid in questione è stato effettuato da un drone MQ-9 REAPER dell'Air Force decollato da Sigonella e da un mix di 2 elicotteri AH-1W SUPER COBRA e 3 convertiplani MV-22B OSPREY entrambi appartenenti al VMM-264 Black Knights dei Marines, decollati dalla nave d'assalto anfibio USS WASP che naviga al largo delle coste libiche. Quest'ultima, oltre ad imbarcare diversi elementi della 22nd Expeditionary Unit dei Marines, possiede uno squadrone composto da 11 convertiplani MV-22B, 3 elicotteri AH-1W, 3 CH-53E, un utlity UH-1Y e 6 cacciabombardieri AV-8B HARRIER II PLUS. E’ estremamente probabile che, qualora l’offensiva per la riconquista di Sirte dovesse avere successo, i militanti di ISIS sopravvissuti alla battaglia decidano di ritirarsi verso sud (tenuto conto della difficoltà di una fuga verso ovest o est dove sono presenti rispettivamente le milizie di Misurata e le PFG di Jadrhan) dove potrebbero prendere di mira gasdotti e oleodotti, e disperdersi sul territorio riorganizzandosi in piccole cellule sparse non solo sul territorio libico, ma anche in quello di Paesi vicini (non necessariamente confinanti), dai quali potrebbero pianificare attacchi/attentati. Mentre le brigate misuratine e le PFG, integrate da distaccamenti di Forze Speciali occidentali, combattono ISIS a Sirte, le forze fedeli al Generale Haftar, che non supporta il Governo Serraj, sono impegnate a snidare le milizie qaediste dai fronti della Cirenaica, in particolare nelle zone di Derna e, soprattutto, Bengasi. Riguardo a quest’ultima, i combattimenti sono concentrati nelle aree a sud di Bengasi e nella periferia meridionale della stessa città, nella quale è ancora forte la presenza delle forze appartenenti al Consiglio Rivoluzionario della Shura di Bengasi, guidato da Wissam Ben Hamid, alla Brigata Omar Mukhtar di Ziad Balam e ad Ansar al-Sharia. Nei giorni scorsi, inoltre, un nuovo gruppo particolarmente attivo nell’area a sud di Bengasi, denominato “Brigate per la Difesa di Bengasi”, nato dal variegato mix di milizie islamiche presenti in Cirenaica e vicino al Consiglio dei Rivoluzionari della Shura di Bengasi e ad Ansar al-Sharia, ha rivendicato l’abbattimento, tramite missile spalleggiabile STRELA-2 (SA-7), di un elicottero Mi-17 di stanza presso la base di al-Abraq ed appartenente alle forze fedeli ad Haftar, nei pressi del villaggio di al-Maqrun, situato 90 km a sud di Bengasi, sul quale erano presenti 3 operatori del DGSE francese. Dallo scorso febbraio, infatti, un distaccamento di Forze Speciali francesi è presente, insieme ad un contingente americano ed uno britannico (in tutto 26/28 uomini), presso la base aerea di Benina/Bengasi con compiti di supporto logistico e addestramento per l’Esercito di Haftar, ma anche di pianificazione ed attuazione delle operazioni. L’esempio di Haftar, non certo l’unico, ancorché il più eclatante, conferma come il Governo Serraj, per quanto internazionalmente riconosciuto, non sia ancora riuscito ad unire il Paese, né tantomeno a creare un unico Esercito che possa combattere in modo davvero efficace Daesh. L’inviato ONU in Libia, Martin Kobler, ha suggerito a tal proposito la creazione di un Esercito nazionale decentralizzato, basato cioè su 3 consigli militari stabiliti su base geografica (Cirenaica, Tripolitania e Fezzan), in modo da placare le rivalità esistenti tra le milizie vicine al Governo Serraj, quelle fedeli alle frange più estremiste della capitale e le forze di Haftar. Va da sé che l’attuale embargo sulla fornitura di armamenti, imposto indiscriminatamente su tutto il Paese, rende ancor più arduo il raggiungimento di tale obiettivo. Lo stesso Kobler ha esplicitamente fatto appello al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite affinché fornisca equipaggiamenti ed armi necessarie a chi è impegnato nei combattimenti contro Daesh. Consiglio che, comprensibilmente, continua a mantenere una certa cautela al riguardo, tenuto conto della difficoltà nel tracciamento di tali armi e delle scarse garanzie riguardo al fatto che le stesse non finiscano in mani sbagliate. Al momento si può dire che la comunità internazionale preferisce continuare a seguire 2 strade parallele: una politica, che prevede il supporto diplomatico nei confronti del GUN di Serraj; ed una militare, che si estrinseca in un supporto diretto alle operazioni volte ad eliminare le milizie islamiche estremiste presenti sul territorio libico, siano esse di matrice daeshista o qaedista. Ciò spiega la presenza di SOF a supporto dell’offensiva misuratina per la riconquista di Sirte, quella relativa alle operazioni guidate da Haftar in Cirenaica (Agedabia, Bengasi, Derna, Tobruk), e quella di personale militare occidentale a Tripoli e Misurata. Nel frattempo, nella capitale prosegue lo stallo. I poteri del Governo Serraj, ufficialmente insediatosi a Tripoli lo scorso 31 marzo, appaiono ancora estremamente limitati, nella stessa capitale, figurarsi nelle altre zone del Paese. All’inizio di luglio ben 4 ministri (Giustizia, Riconciliazione, Finanze ed Economia) si sono dimessi; tutti erano originari della Cirenaica, regione in cui è ancora forte l'opposizione al nuovo governo. Politicamente, inoltre, continua a pesare non solo il mancato riconoscimento del Parlamento di Tobruk al Governo di Unità Nazionale, ma anche il continuo rifiuto da parte delle numerosissime milizie e potentati tribali presenti sul territorio di cedere la propria porzione di potere in favore di un rafforzamento del GUN. E lo stesso supporto internazionale di Serraj viene messo, quantomeno, in discussione dalla già citata presenza di distaccamenti appartenenti a FS straniere che supportano attivamente le operazioni del Generale Haftar, esponente proprio di quel Parlamento di Tobruk che si è sempre opposto al governo Serraj. I negoziati tra le 2 fazioni rivali in corso in Tunisia, al momento, sono focalizzati su questioni più prettamente economiche, quali l’adozione di un piano d’azione che porti a risolvere la persistente crisi energetica, derivante dal blocco alle esportazioni petrolifere imposto dalle PFG di Ibrahim Jadhran, e la conseguente carenza di fondi. I 3 principali porti petroliferi libici di Ras Lanuf, Es Sider e Zuwaytinah restano ancora sotto il controllo delle PFG di Ibrahim Jadhran il quale, dopo aver effettuato un blocco petrolifero sulle esportazioni fin dal 2013 (che sarebbe costato circa 90 miliardi di Euro alla Libia), ha recentemente dichiarato di accettare l’accordo - aspramente criticato dal Presidente della National Oil Corporation (NOC), Mustafa Sanalla - proposto dal Consiglio Presidenziale del GUN per la riapertura dei porti, dietro pagamento di un indennizzo per lui ed i suoi uomini, entro i prossimi giorni, dichiarazione avvenuta dopo l’offensiva diplomatica di Kobler, in seguito ad una visita a Ras Lanuf. Tornando agli aspetti più prettamente strategici, è chiaro che ISIS rappresenta, al momento, il focus principale delle attenzioni militari da parte delle varie fazioni libiche. Il numero di miliziani del “califfato” presenti in Libia si attesta verosimilmente tra le 5.000 e le 6.000 unità (provenienti da Libia, Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto, Mali e Mauritania), delle quali 2.500/3.000 presenti nella zona di Sirte dove, dalla fine dello scorso anno, le unità di Daesh sono state rinforzate da un contingente di 100/200 uomini provenienti dall’Africa Sub-Sahariana, probabilmente maliani legati al gruppo terroristico nigeriano Boko Haram. Ai numeri sopra evidenziati, inoltre, vanno aggiunti i 1.400/1.600 libici che partecipano al conflitto in “Siraq”, alcuni dei quali rientrati in Libia nella prima metà del 2016. Ovviamente il numero di miliziani di Daesh presenti a Sirte ha risentito delle grosse perdite subite nelle ultime settimane. Tuttavia, come detto in precedenza, non va dimenticato che la Libia continua ad essere “frequentata” da diverse organizzazioni jihadiste, non necessariamente legate/alleate al cosiddetto Stato Islamico. E’ il caso del franchise qaedista maliano di AQMI (Al-Qaeda nel Maghreb Islamico), che continua ad utilizzare il territorio libico come rifugio e base d’appoggio per l’approvvigionamento di armi e munizioni, nonché stretto alleato di Ansar al-Sharia. O, ancora, quello di al-Mourabitoun, il gruppo guidato da Mokhtar Belmokhtar, che si sposta con una certa facilità dal Sahel alle zone meridionali della Libia, battute frequentemente anche da Iyad Ag Ghaly, capo di Ansar al-Dine. Senza dimenticare, infine, Ansar al-Sharia tunisina i cui miliziani continuano ad utilizzare i campi d’addestramento presenti a ridosso del confine tra Libia e Tunisia.