RIVISTA ITALIANA DIFESA
I mille volti dello Stato Islamico 04/07/2016 | Pietro Batacchi

Se c'è una cosa che lo Stato Islamico ha dimostrato in questi anni è di sapersi adattare ad ogni tipo di contesto, politico-strategico e militare. Nessuno stupore, dunque, se gli autori del massacro dell'Holey Artisan Bakery di Dacca sono figli dell'alta borghesia del Paese. In tal senso da sempre su queste colonne parliamo di Stato Islamico come di organizzazione assolutamente de-ideologizzata capace di ospitare tra i suoi ranghi tanto jihadisti di lunga data ceceni quanto ex saddamiti o ex gheddafiani. Un'organizzazione in questo molto "laica" il cui obbiettivo è il consolidamento strutturale su un territorio, o su pezzi di territorio, e la creazione di un modello sociale molto semplice, quasi elementare, fuori dalle complessità delle società moderne. Lo si è fatto nel Siraq, dove l'IS adesso sta arretrando, ma dove mantiene ancora capacità militari di assoluto rilievo, lo si è fatto in Libia, un altro teatro dove lo Stato Islamico sta perdendo terreno, ma lo si sta facendo anche in Afghanistan o in Yemen o, ancora, in Bangladesh, ovvero in tutti questi contesti dove il governo centrale è in difficoltà e/o non in grado di esercitare controllo su parti del territorio o dove esistono incertezza e instabilità politica. Per raggiungere questo obbiettivo, e per andare a insinuarsi/radicarsi anche in contesti lontani dai centri di insediamento tradizionale in Iraq e Siria, esistono 2 strade. Da una parte la veicolazione del marchio, che viene opposto/proposto in alternativa a quello concorrente di Al Qaeda, dall'altro, il reclutamento su vasta scala del più alto numero di miliziani possibile. Le 2 strade, ovviamente, si sovrappongono perchè un marchio di successo significa capacità di attrazione e reclutamento. Da qui la grande cura e attenzione che l'IS dà alla parte mediatica e propagandistica con l'uso sistematico dei social e del Web, l'adozione di campagne propagandistiche perfettamente sincronizzate con gli attacchi, come nel caso di Parigi, e via dicendo. Cose che faceva e fa anche Al Qaeda, ma su una scala e con un'attenzione diverse. Nella narrazione di IS, pertanto, al centro di tutto non c'è l'Islam, cioè la religione, ma il marchio, al quale l'Islam è subordinato, che ha ormai oscurato quello tradizionalmente consolidato nel mondo jihadista di Al Qaeda e che sta esercitando un enorme fascino in tutto il mondo islamico. Ecco, allora, che non è un caso che tra i ranghi del gruppo vi siano piccoli criminali delle periferie europee, alla ricerca di una sorta di rigenerazione, o la gioventù dorata di Dacca, che pare abbracciare la causa di IS quasi a voler trovare "nuove emozioni" o, ancora, vecchi arnesi di eserciti e apparati statali che furono privi di ogni prospettiva e, dunque, facilmente arruolabili. Questa sorta di pragmatismo costituisce l'indubbio vantaggio dello Stato Islamico rispetto ai concorrenti di Al Qaeda e che fa dello Stato Islamico un nemico multiforme, più subdolo e pericoloso. Al Qaeda esercitava tradizionalmente un rigoroso controllo sui propri adepti ed era fonte anche di ispirazione ideologica, come accaduto ai talebani in Afghanistan, per esempio, che in Al Qaeda vedevano, appunto, una sorta di "casa madre" e serbatoio di idee, mentre lo Stato Islamico in questo è molto più blando e non punta ad ispirare movimenti e/o influenzarli, ma a svuotarli togliendo loro militanti e consensi. E' accaduto così in Libia con Ansar Al Shria, in Siria con Al Nusra e sta accadendo così anche in Bangladesh con i jihadisti locali che prima si richiamavano ad Al Qaeda e che ora, invece, vengono etero-diretti da Raqqa.


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