RIVISTA ITALIANA DIFESA
Il voltafaccia che chiama sangue 29/06/2016 | Pietro Batacchi

L'attacco all'aeroporto di Istanbul di ieri sera, al di là delle sue drammatiche conseguenze immediate, riporta in primo piano la questione della sicurezza della Turchia. Il Paese si dibatte in una crisi senza precedenti ed è alle prese con una minaccia variegata e di diversa origine che va dall'insurrezione curda, allo Stato Islamico alla galassia marxista, da sempre una nebulosa estremamente forte in Turchia. Sullo sfondo uno Stato prossimo all'autoritarismo dove esiste il monopolio politico di Erdogan e del suo partito e dove gli spazi di libertà sono ridotti al lumicino. In pratica, il Paese è precipitato in una guerra civile strisciante, con le regioni meridionali a maggioranza curde in aperta insurrezione contro il Governo, l'infiltrazione jihadista che sta assumendo connotati di massa e parti dell'opposizione che, privi di canali di voice, utilizzano come valvola di scarico la violenza politica. Insomma, un gran calderone dove l'insicurezza interna si salda in tutto unico con quella proveniente dall'esterno. Tuttavia, il principale responsabile di questa saldatura è proprio il Presidente Erdogan. Salito al potere un decennio fa, Erdogan ha via, via purgato gli apparati di sicurezza, fedeli al vecchio Stato laico di Ataturk, e imposto il monopolio dell'AKP, la variante turca della Fratellanza Musulmana, governando in nome dell'Islam Politico. Anzi, proprio l'Islam Politico è stato il principale strumento per propagare in tutto il Medio Oriente l'influenza turca nell'ambito di un neo-ottomanesimo a matrice fortemente ideologica. Da qui il sostegno alla Fratellanza Musulmana in Egitto, Libia e, soprattutto, in Siria dove da sempre il principale obbiettivo della leadership turca è stato l'abbattimento del regime di Assad e la sua sostituzione con un regime “amico" guidato dai Fratelli Musulmani siriani che garantisse gli interessi di Ankara e che tenesse a bada le spinte autonomiste curde. Un disegno da conseguire anche con l'aiuto di altri gruppi radicali come lo Stato Islamico, che per anni l'apparato di intelligence turco ha fatto crescere e consolidare in Siria, ma che oggi è completamente fallito. Assad, grazie al supporto di Mosca e Teheran, è ancora in piedi, ed i Curdi, sostenuti dagli Americani, hanno una sfera d'influenza sempre maggiore in Siria. Ecco che per evitare una catastrofe completa, il Presidente Erdogan ha ad un certo punto iniziato a rivedere la sua politica andando, per esempio, a cercare la sponda del vecchio amico israeliano ed un compromesso con Mosca sulla Siria, e, soprattutto, togliendo la libertà di manovra allo Stato Islamico. Un maldestro voltafaccia che la Turchia sta pagando con il sangue.  


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