RIVISTA ITALIANA DIFESA
La NATO e la lotta al terrorismo 20/04/2016 | Pietro Batacchi

Ieri 19 aprile, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si è svolto il IX convengo di studio sull'Alleanza Atlantica organizzato dal Prof. Massimo De Leonardis con il suo Dipartimento di Scienze Politiche della Facoltà di Scienze Politiche e Sociali. Quest'anno il convegno ha riguardato il terrorismo recando un titolo significativo: "La lotta al terrorismo transnazionale: un ruolo per la NATO?". Del resto l'appuntamento è giunto dopo gli attacchi terroristici di Bruxelles e Parigi, attacchi che hanno incrementato la percezione di insicurezza in Europa e che hanno mostrato l'enorme salto di qualità fatto dal terrorismo. In quest'ottica le ben 6 sessioni in cui si è articolato il convegno, e che hanno occupato l'intera giornata, hanno cercato di rispondere al quesito mettendo però in luce anche l'aspetto più generale del ruolo dell'Alleanza Atlantica alla luce dell'attuale scenario di instabilità che ne caratterizza sia il fianco sud che il fianco est ed in vista del summit di Varsavia di luglio. Si è cominciato, dunque, dal nuovo terrorismo, quello simboleggiato dal Daesh, appunto, per analizzarne la dimensione per come si è recentemente manifestata in Europa – una dimensione di massa visto il radicamento delle filiere nel Vecchio Continente e che potrebbe rendere il 2016 addirittura peggiore del 2015 - e per come questa, invece, ha preso forma nel Siraq, in Libia ed in Afghanistan. Difatti, quello che inizialmente è stato un fenomeno tipicamente iracheno, radicato nelle comunità arabo-sunnite, si è poi esteso alla Siria per poi prendere campo pure in Afghanistan e in Libia favorito dalle condizioni di instabilità di questi 2 Paesi. Il convegno è proseguito poi con il ruolo giocato dalla Russia nella guerra al terrorismo. Inevitabilmente, però, in questa sessione si è finito con il parlare dei rapporti tra NATO e Russia, rapporti sempre molto tesi, ma che nelle prossime settimane potrebbero giungere ad un punto di svolta con l'annunciata ripresa delle attività del Consiglio NATO-Russia. La gran parte degli intervenuti, pur mostrando in alcuni casi posizioni estremamente critiche nei confronti di Mosca, ha messo, tuttavia, in luce l'importanza per la NATO di riprendere il dialogo con la Russia. La prima sessione pomeridiana, invece, si è concentrata più specificamente sull'impegno della NATO nella lotta al terrorismo, impegno che si è concretizzato sopratutto dopo l'11 settembre con Operazioni come l'ACTIVE ENDEVEAUR e con la stabilizzazione dell'Afghanistan nel cui ambito l'Alleanza ha svolto, e sta svolgendo tuttora, un ruolo fondamentale. Ecco perchè l'Alleanza, che si è sempre mostrata straordinariamente adattiva, mantiene ancora oggi la sua utilità e la possibilità di essere protagonista anche in un compito, il contrasto al terrorismo, che non fa parte propriamente del suo core business. E lo può fare, ancora una volta, nella stabilizzazione di alcuni Paesi, visto che sono sempre di più gli stati falliti o in via di fallimento, ma anche nell'offrire a chi è impegnato contro il terrorismo un valore aggiunto. In questo quadro, pertanto, diventano molto importanti le numerosi partnership che l'Alleanza ha con Paesi non membri e che nei fatti la trasformano in una sorta di rete stellare fatta di membership e partnership. A questo punto, si è proseguito con l'analisi della visione che alcuni Paesi membri – in particolare Germania, Turchia e Francia – hanno della NATO e del suo fianco sud. Ne è uscito un quadro che vede in sostanza una Germania ancora priva di una dimensione strategica significativa rispetto, appunto, al "rischio da sud", una Francia sempre disponibile ad usare lo strumento militare e che dimostra di prediligere gli interventi autonomi o nell'ambito di coalizioni dei volenterosi e una Turchia stretta tra i 2 fuochi della questione curda e della minaccia dell'IS che, la stessa Turchia, ha, però, in parte contribuito a creare. L'atteggiamento turco verso il terrorismo è stato del resto un altro tema ricorrente durante tutta la giornata con alcuni oratori che hanno persino posto la questione della membership di Ankara dentro la NATO. La giornata si è chiusa con una sessione dedicata all'Italia alla quale ha preso parte anche chi scrive. Una sessione in cui si è dibattuto della politica estera e di difesa del nostro Paese e che, ancora una volta, ne ha messo in luce tutte le ambiguità. Da un lato, infatti, abbiamo un Paese che da sempre è un importante provider di sicurezza internazionale, ma che, allo stesso tempo, da tempo sta togliendo risorse allo strumento militare. Anche quest'anno, che ha segnato un'inversione di tendenza i tutta Europa rispetto alle politiche di contenimento dei budget della Difesa consolidatesi in epoca di crisi economica – sono infatti 16 i Paesi NATO che hanno aumentato nel 2015/2016 le spese miliari – l'Italia è rimasta ferma al palo dimostrandosi quella che chi scrive ha definito una "splendida eccezione". Dall'altro lato, l'Italia mantiene la sua stretta aderenza al principio dell'intervento solo nell'ambito di coalizioni legittimate internazionalmente - e con limitazioni di vario tipo (si pensi all'impegno non combat contro il Daesh o al caso della mancata concessione agli Americani dello spazio aereo nazionale per l'attacco aereo di Sabratha) - i famosi 3 cerchi della politica di sicurezza italiana (ONU, NATO e UE), quando, invece, lo stesso Libro Bianco parla di capacità di agire autonomamente qualora siano minacciati interessi ritenuti vitali, di strumento militare Regional Full Spectrum e di Mediterraneo come scenario prioritario di intervento. Ancora, pertanto, non sembra si sia ben capito la reale portata dei cambiamenti accaduti nel Mediterraneo a partire dal 2011, ma probabilmente saranno gli stessi eventi a determinare un accelerazione ponendo la grande questione della difesa dell'interesse nazionale, dell'uso della forza e dell'insostenibilità di certe fisime tutte italiane.  


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