RIVISTA ITALIANA DIFESA
Bruxelles: logistica, esplosivi e intelligence 24/03/2016 | Andrea Mottola

Iniziano ad emergere le prime informazioni riguardanti sia l’identità degli attentatori di Bruxelles che le tecniche e i materiali utilizzati per l’assemblaggio degli esplosivi. Da una prima analisi, basata sia sul numero di vittime che sulla quantità di materiale rinvenuto in uno dei covi utilizzati dai terroristi, si può affermare che, rispetto a quanto avvenuto a Parigi, nel caso belga sono stati confezionati ordigni decisamente più “performanti” grazie, soprattutto, al supporto sul terreno e alla logistica di cui godono queste filiere che, ormai, rappresentano realtà strutturali sul territorio europeo. All’interno di esse, trovano protezione gli esecutori materiali degli attentati, ma anche quelli che ricoprono un ruolo fondamentale e che spesso, erroneamente, vengono definiti “bombaroli”, quando sarebbe più opportuno definirli ingegneri/artificieri. E’ il caso di Najim Laachraoui. Questi personaggi sono dotati di ottime competenze che consentono la preparazione e l’approntamento di ordigni complessi, sempre meno artigianali e composti da materiali esplosivi spesso poco stabili, come quelli ritrovati dalla Polizia Federale belga in uno degli appartamenti da cui sono partiti gli attentatori, situato al numero 4 di rue Max Roos, nel quartiere di Schaerbeek (a meno di 100 m dalla moschea Ahl Allah…). Qui sono stati rinvenuti 15 kg di perossido di acetone triciclico, un composto chimico meglio conosciuto come TATP, lo stesso esplosivo utilizzato negli attentati di Parigi, oltre a 150 litri di acetone, 30 litri di perossido di idrogeno (acqua ossigenata), detonatori vari (cellulari, sottili tubi di metallo, colla e cavi elettrici) ed una valigia con tutto l’occorrente per l’assemblaggio di ordigni più letali: viti, chiodi e piombini da caccia compresi. Una volta sintetizzato, il TATP assume la forma di una polvere cristallizzata bianca e inodore; tuttavia, la sua principale caratteristica è una forte instabilità (molto più sensibile della nitroglicerina al calore e agli urti), che rende estremamente pericolosa la sua preparazione, nonché il suo trasporto, e proprio per tale motivo viene escluso dagli utilizzi in campo militare nonostante una potenza di detonazione dell’80% superiore a quella del tritolo. Il TATP risulta anche di difficile sintetizzazione, processo che avviene tramite il mescolamento di piccole quantità di acido solforico o cloridrico (catalizzatori), perossido di idrogeno, acetone e bicarbonato. La fase maggiormente delicata sta nell’aggiunta della quantità giusta e nei tempi adeguati dell’acido al composto, fase durante la quale viene scaricato un grosso quantitativo di calore, aumentando la possibilità che il composto prenda fuoco, e che per tale motivo va effettuata con strumenti che tengano la temperatura vicina allo zero. Nonostante, quindi, la relativa semplicità dei materiali utilizzati per la sua preparazione (disponibili in ferramenta o supermercati), la complessità di preparazione risulta elevata a meno di non disporre di una struttura sufficientemente adeguata (laboratorio) e di una competenza tecnica medio-alta che deriva, verosimilmente, da una preparazione di tipo “militare”. Tornando a quanto detto in precedenza riguardo alla letalità degli attacchi, alla quantità di esplosivo ritrovato (15 kg, oltre a quello utilizzato negli attentati) e alla stessa modalità di trasporto degli ordigni (valigie) si può dire che siamo piuttosto lontani dai giubbetti e cinture esplosive utilizzati al Bataclan. E’ evidente, quindi, un salto di qualità notevole nella preparazione degli ordigni, rispetto a quanto avvenuto a Parigi. Ciononostante, sembra ormai sempre più evidente il legame esistente tra gli attentati del 13 novembre scorso a Parigi e quelli del 22 marzo a Bruxelles. E ancora una volta, come in quell’occasione, ci si trova a dover analizzare le gravi falle, che sarebbe meglio definire voragini, nell’attività d’intelligence delle agenzie di sicurezza belghe. Anche in questo caso, infatti, 3 degli esecutori degli attentati di Bruxelles (i fratelli El Bakraoui e Najim Laachraoui) erano ben noti alle autorità del Paese, le stesse che nelle settimane precedenti gli eventi di Parigi avevano scelto di non condividere informazioni vitali con le agenzie francesi, informazioni che avrebbero forse consentito l’adozione di qualche contromisura. Quello belga, tuttavia, non è certo l’unico esempio di scadente, se non inesistente, coordinamento europeo tra le agenzie di intelligence e i servizi di sicurezza. Già l’attentato di Madrid nel 2004, seguito da quello di Londra l’anno successivo, avevano messo in evidenza quanto fosse irrinunciabile una cooperazione internazionale e, in particolare, europea nel settore. Sono 2 gli elementi fondamentali, attualmente mancanti, per il raggiungimento di una reale cooperazione: il reciproco accesso alle banche dati delle varie agenzie, e il ricorso coordinato e più intenso al data sharing tramite strumenti europei (come il SIS - Sistema d’Informazione di Schengen), da impiegare in una logica di intelligence e non più esclusivamente di polizia. Al momento, purtroppo, continua a prevalere la tutela delle reciproche fonti e del data collecting e ciò deriva anche dal fatto che in Europa non tutti hanno la stessa cultura d’intelligence e non in tutti i Paesi esiste una piena collaborazione tra le agenzie di intelligence e le forze di polizia, il che costituisce un grosso ostacolo al data sharing. Una struttura come il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo (CASA) italiano dove, su base giornaliera e permanente, vengono scambiate, tra i vari organi di polizia (Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Carabinieri e Guardia di Finanza) e dell’intelligence (DIS, AISE e AISI), informazioni su potenziali attori terroristici e sugli interessi nazionali all’estero, esiste in pochissimi Paesi europei che, purtroppo, continuano ad essere troppo compartimentati e/o ad investire risorse in attività di spionaggio ai danni di Paesi alleati (la Francia è uno dei campioni dello spionaggio amico...e industriale), piuttosto che cedere una parte, ancorché importante, della propria sovranità.


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