RIVISTA ITALIANA DIFESA
Il parziale ritiro russo dalla Siria 22/03/2016 | Andrea Mottola

Durante la scorsa settimana è proseguito il parziale ritiro del gruppo aereo russo dal teatro siriano. Da tempo RID aveva posto l’accento sulla sostenibilità finanziaria e temporale della missione russa, una missione che ha visto il rischieramento di 5/6.000 uomini e l’impiego di 81 velivoli tra caccia (8), cacciabombardieri (32), bombardieri (25) ed elicotteri da combattimento (12 tra Mi-24 e Mi-35, oltre a 4 Mi-8 “utility”) che hanno sostenuto ritmi in alcuni casi da 80/90 sortite d'attacco giornaliere con centinaia di ordigni sganciati. Fonti ufficiali russe parlano di un esborso di 484 milioni di dollari (2,89 milioni al giorno) per il finanziamento della missione siriana, ma è probabile che sia una cifra estremamente “conservativa” e che il costo reale superi i 700-800 milioni per avvicinarsi al miliardo. E’ chiaro che per dare una lettura militare definitiva occorrerà capire come si comporrà il dispiegamento che Mosca deciderà di lasciare in Siria. E’ certo che un robusto dispositivo di deterrenza resterà sia nella base navale di Tartus, dove peraltro il personale russo era presente ben prima dell’intervento dello scorso settembre e dello stesso scoppio della guerra civile nel 2011, sia a Latakia. Al momento, al largo di Tartus operano 7 navi della Marina Russa, 3 delle quali (il sommergibile classe KILO 636 ROSTOV, una nave ELINT per la scoperta, raccolta e classificazione delle emissioni elettromagnetiche, e l’incrociatore VARYAG che da gennaio ha sostituito il MOSKVA) dovrebbero restare in zona. Per quanto riguarda Latakia, verranno sicuramente mantenuti i sistemi antiaerei PANTSIR S1, S-300 ed S-400, insieme ad uno squadrone misto che continuerà ad essere impiegato nei raid contro Jabhat al-Nusra e Daesh, posto che all’occorrenza, e come già avvenuto più volte in passato, Mosca potrà utilizzare i bombardieri Tu-22 e Tu-160 facendoli partire dalle proprie basi sul territorio della Federazione. Ad oggi, degli 81 velivoli presenti in Siria, circa 30 hanno lasciato la base di Jableh/Hmeymim: 10 Su-24, 8 Su-25 (atterrati a Borisoglebsk), 10 Su-34 (atterrati a Voronezh-Malshevo) ed una coppia di Su-30. Ad essi si aggiungono un Tu-154 ed un IL-76 utilizzati rispettivamente per il trasporto del personale (tecnico ed il grosso degli Spetnaz) e della logistica, aerei che, presumibilmente, faranno la spola tra Hmeymim e le basi russe durante le prossime settimane. Come detto, un contingente di almeno 40 velivoli, tra aerei ed elicotteri, resterà in Siria. Probabile che si tratti dei velivoli giunti a Jableh nel corso degli ultimi 2 mesi, meno usurati rispetto agli aerei presenti dalla fine di settembre i quali, al contrario, necessitano di una manutenzione più profonda, e non eseguibile a Hmeymim, dopo essere stati utilizzati per mesi ad un ritmo di 2 missioni al giorno. Del contingente faranno parte 10/12 bombardieri tattici Su-24M2 e 4 cacciabombardieri pesanti Su-34, 4 aerei d'attacco al suolo Su-25SM, più 8 caccia multiruolo Su-30SM (4) e Su-35S (4). Ad essi vanno aggiunti una ventina di elicotteri, suddivisi in 4 Mi-8AMTSh “utility”, 12 Mi-24P da attacco ed un numero imprecisato di Mi-28NE e Ka-52 giunti a Jableh nei primi giorni di marzo che, come gli HIND, sono particolarmente adatti sia per le missioni di supporto aereo ravvicinato, che per garantire un perimetro di sicurezza di diversi chilometri intorno alla base. In particolare, sia i Mi-28NE che i Ka-52 sono ottimizzati per le missioni notturne ed equipaggiati con avanzati sistemi di sorveglianza e di autodifesa da MANPADS. A completare il contingente che resterà in Siria, almeno 1.500/1.600 tra advisor e operatori di Forze Speciali, membri del GRU compresi. Come comunicato dal Ministero della Difesa russo, il parziale ritiro del dispositivo militare russo si è concluso lo scorso 20 marzo, posto che, nel caso di un peggioramento della situazione, “potrebbe essere rischierato in 48/72 ore”. Nel frattempo, gli aerei rimasti in Siria continuano ad effettuare raid contro il fronte maggiormente caldo in questi giorni, quello di Palmyra, città controllata dal “Califfato” dallo scorso maggio. Durante l’ultima settimana il gruppo aereo russo ha effettuato più di 20 sortite al giorno contro postazioni di ISIS nell’area di al-Sukhna, 70 km a nordest di Palmyra, e su Jabal Hayyal, Tal Mattar, Qasr al-Halabat, Quraytayn ed al-Dawah, garantendo alle forze lealiste, tra cui le ormai famose Tigri di Suheil Al Hassan, da unità Hezbollah e dalle milizie sciite irachene Liwaa Imam Ali, il controllo delle principali alture e delle strade che circondano Palmyra, tagliando la più importante linea di rifornimento di Daesh tra l’antica città e Deir Ezzor/Raqqa. Nella seconda metà dell’ultima settimana, inoltre, gli aerei russi hanno effettuato diversi raid contro la capitale de facto del “Califfato”, Raqqa, e il vicino aeroporto militare di Tabaqa, colpendo un deposito di munizioni e uno dei centri di comando principali di Daesh situato nel quartiere di al-Fardous. L'intervento russo in Siria ha conseguito 2 obiettivi: uno politico-strategico e l'altro militare. Politicamente, l'intervento ha rafforzato Assad. Se si pensa a come era messo il regime nell'estate del 2015, è evidente che l'intervento russo l'abbia rafforzato sensibilmente. Del resto, questo era il motivo principale dell’intervento russo in Siria, e cioè evitare che la crisi del regime Assad raggiungesse conseguenze troppo pregiudizievoli per gli interessi della Russia stessa. Oggi Assad è indubbiamente più saldo di quanto non fosse la scorsa estate. Dal punto di vista militare, l'intervento di Mosca ha permesso alle forze lealiste di recuperare del terreno importante, garantendogli la necessaria profondità strategica ed arginando l'offensiva dei ribelli di Jaish al Fateh nell'area alawita costiera di Latakia, evitando che questi minacciassero il cuore della roccaforte del presidente Assad. A ciò bisogna aggiungere il terreno recuperato in altre zone della Siria, in particolare nelle province di Hama ed Homs, e ad Aleppo, dove i lealisti sono riusciti a chiudere i ribelli nei quartieri occidentali della città, riprendendo il controllo anche della base di Kweires, per mesi assediata da miliziani del Califfato. Inoltre, l'intervento russo ha chiuso possibili spazi per iniziative turche in Siria, mostrando, al contempo, l’efficacia delle armi russe (missili KALIBR e KH-55, e bombe guidate KAB-500, tanto per citarne alcune) sia agli avversari occidentali, che ad eventuali acquirenti. Gli obiettivi militari raggiunti dalla Russia, quindi, sono tangibili e sotto gli occhi di tutti. E’ chiaro, tuttavia, che tale impegno ha avuto un costo non indifferente con il quale Mosca deve fare i conti. La crisi economica in Russia è pesante, per cui un impegno simile in Siria non era sostenibile nel lungo periodo considerando il parallelo che Mosca sta sostenendo anche nel Donbass (di cui parliamo su RID di aprile in edicola da venerdì 25 marzo). E questo rappresenta, verosimilmente, il principale fattore dietro al ridimensionamento. Tuttavia, dietro alla rimodulazione del dispositivo russo, è presente certamente anche un messaggio politico ben chiaro, con il quale la Russia segnala la propria disponibilità a trovare una soluzione diplomatica che ponga fine al conflitto siriano, forte della posizione guadagnata anche grazie all’intervento. Dal punto di vista militare, il primo problema sarà quello di capire come la Turchia interpreterà il disimpegno russo, e anche per questo Mosca, come detto, lascerà qualcosa che possa rappresentare un deterrente per eventuali velleità turche. In diverse occasioni nel recente passato, Ankara aveva ventilato la possibilità di entrare in Siria, ipotesi soffocata dal rischieramento russo. Inoltre, andrà capita la reazione dei ribelli così come il comportamento di sauditi e iraniani, oltre che di Assad. Dunque la situazione è tutta in divenire, soprattutto perché la Russia dichiara di essere uscita di scena per favorire il percorso diplomatico, su cui finora nessuno avrebbe scommesso. Mosca lascia nel momento migliore: durante un cessate il fuoco. In un altro momento, il ritiro sarebbe stato visto come una sconfitta. Ciò detto, alcune perplessità sulla tempistica del ritiro restano. Al netto della citata motivazione legata alla sostenibilità finanziaria, verrebbe da chiedersi se il parziale ritiro del dispositivo militare russo sia legato a 2 elementi da analizzare: la presunta “autosufficienza” delle forze lealiste le quali, nonostante il ritiro del contingente russo, potrebbero mantenere il proprio vantaggio militare grazie al supporto di altri alleati (Iran e milizie sciite), accompagnato al recente rinnovamento dell'Aeronautica Siriana ad opera dei russi, e la capacità di tenuta del recente accordo per la cessazione delle ostilità, entrato in vigore lo scorso 27 febbraio e che, per stessa ammissione del Cremlino, ha subito diverse violazioni. Un fatto, però, è certo: il parziale ritiro delle forze russe rappresenta un forte messaggio sulla disponibilità del Cremlino di agevolare i colloqui di Ginevra, con un’opposizione più disposta al compromesso senza i bombardamenti dei caccia di Mosca e con un Assad che sa di non poter vincere la guerra senza il dispositivo militare russo, e quindi, maggiormente malleabile.


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