Sorprendendo molti, ma non tutti..., il Presidente Putin ha annunciato il ritiro della gran parte delle truppe russe operanti in Siria. La decisione del Cremlino è stata giustificata con il raggiungimento degli obbiettivi sul campo ed alla luce del processo di pace tra le parti in conflitto che sembra ripartire su nuove basi a Ginevra. Non è chiaro cosa verrà ritirato o no, anche perchè la Russia non ha tecnicamente truppe sul terreno in Siria, ma di sicuro, come precisato dallo stesso Putin, le basi di Tartus e di Jableh/Latakia resteranno operative. Nei prossimi giorni forse capiremo qualcosa di più. In sede di ipotesi è possibile che il Cremlino richiami in Patria una parte dei velivoli di Jableh, soprattutto aerei da attacco al suolo Su-25 e bombardieri tattici Su-24 (oggi ne sono dispiegati 26 esemplari), lasciando rischierato un contingente su caccia multiruolo Su-30 e Su-35S e una parte dei cacciabombardieri Su-34, nonchè le 2 batterie di missili terra-aria S-300 ed S-400, il grosso dei consiglieri, dei volontari e delle unità di Fanteria di Marina. Oggi, la Russia ha in Siria 5.000-6.000 uomini tra consiglieri, forze speciali, tecnici, addestratori, volontari ecc. ed una settantina di aeromobili. E' possibile che il ritiro venga calibrato sull'effettivo andamento dei colloqui di Ginevra posto che, sempre come precisato dallo stesso Cremlino, l'assistenza militare russa alla Siria continuerà nelle forme tradizionali: supporto tecnico, forniture, logistica ecc. Al di là delle dichiarazioni ufficiali per giustificare questa mossa a sorpresa, è utile riflettere su alcuni elementi. Il primo, ovviamente, è capire come verrà attuato questo ripiegamento, in che tempi ed in che termini. Lo ripetiamo, è possibile che in Siria resti un dispositivo di un certo livello, soprattutto per dissuadere eventuali iniziative turche e rassicurare comunque Assad. Il secondo elemento è che Mosca rafforza il suo ruolo nella crisi siriana compiendo un atto dal chiaro significato politico e ponendosi così oggi più che mai al centro della scena mediorientale. In pratica, la Russia ha segnalato la sua intenzione di chiudere il conflitto siriano e di trovare una soluzione politica. Il terzo elemento riguarda, invece, la sostenibilità dell'impegno russo in Siria. Mosca ha raggiunto alcuni obbiettivi piuttosto chiari: ha rafforzato Assad, consentendo ai lealisti di riguadagnare terreno e mettere sotto assedio Aleppo, indebolito la Turchia e costretto gli anti-governativi in alcune aree circoscritte. Tuttavia, come sosteniamo da tempo, il problema era sostenere questo impegno nel tempo. L'economia russa è in crisi per le cause ben note, non ultime le sanzioni occidentali per il coinvolgimento nel Donbass: nel 2015 il tasso di crescita è stato negativo per il 3,7%, il valore del rublo si è dimezzato, i redditi sono calati di oltre il 9% e le vendite al dettaglio di oltre l'8%, mentre anche per quest'anno le previsioni parlano di un tasso di crescita negativo per l'1%. Uno scenario che ha costretto a tagliare le spese per la Difesa del 5%, ma il taglio potrebbe essere anche di entità superiore, dopo anni di continui e sostanziosi incrementi. A fronte di ciò mantenere un contingente così sostanzioso e diversificato in Siria costa. Numeri ufficiali non ce ne sono, ma è possibile stimare i costi di 6 mesi di campagna in Siria in più di un miliardo di dollari. Numeri che nel lungo periodo la Russia di oggi non può sostenere.