RIVISTA ITALIANA DIFESA
Accordo di Skhirat: un passo avanti per la Libia? 23/12/2015 | Andrea Mottola

Lo scorso 17 dicembre, nella città marocchina di Skhirat, i delegati del Congresso Nazionale Generale di Tripoli e quelli del Parlamento di Tobruk hanno firmato l'accordo per la creazione di un governo di unità nazionale, seguendo il piano proposto dalle Nazioni Unite. Una firma che potrebbe rappresentare un ulteriore passo verso la difficilissima pacificazione della Libia. Un paese che, di fatto, a 4 anni dalla rivoluzione che ha spodestato Gheddafi e dopo un anno e mezzo di guerra civile, continua ad essere diviso in zone di influenza sostanzialmente sotto il controllo di milizie che non sempre rispondono ai 2 governi di Tobruk (internazionalmente riconosciuto) e Tripoli. E’ ragionevole pensare che tale accordo, primo risultato politico davvero concreto nella vicenda libica, sia stato reso meno complesso “grazie” alla minaccia rappresentata dalla presenza sempre più estesa di Daesh sul suolo libico, soprattutto nella zona di Sirte che, nel corso degli ultimi mesi, è divenuta la sede centrale del franchise libico dello Stato Islamico, sostituendo Derna, primo insediamento degli uomini di al-Baghdadi ed area che continua ad essere fondamentale per la presenza di alcuni campi d’addestramento nei pressi delle montagne ad sudovest della città. Tornando all'accordo, il documento è stato siglato da 90 deputati del Governo di Tobruk, tra i quali il Vicepresidente dell’Assemblea Emhamed Shaib, e da 69 deputati (27 presenti, con delega per altri 42) del CNG di Tripoli e prevede la creazione di un governo di unità nazionale che avrà un mandato annuale, prolungabile per altri 12 mesi, un Consiglio di Presidenza, una Camera dei Rappresentanti ed un Consiglio di Stato. Consiglio di Presidenza di cui fanno parte 9 personalità, 3 per ciascuna regione, già segnalate dall’inviato ONU Bernardino Leòn e approvate dal suo successore Martin Kobler. In pratica, si tratta degli stessi nomi e dell’identica proposta presentata lo scorso ottobre e, ai tempi, respinta sia da Tobruk che da Tripoli. Nello specifico, il Consiglio sarà composto dal Premier Fayez Sarraj, rappresentante del Parlamento di Tobruk, ma lontano dalle idee del Generale Haftar, da 3 Vicepremier, Ahmed Maiteeq, (uomo d’affari misuratino ed ultimo premier ad essere stato nominato prima del conflitto scoppiato tra Tripoli e Tobruk, destituito da un controverso parere della Corte Suprema libica nel maggio del 2014 e sostituito da Abdullah al Thani), Fathi Majbri, già Ministro dell’Istruzione, e Musa Koni, più 2 ministri, Omar Aswad e Mohamed Ammar. Ad essi si aggungono i rappresentanti politici delle 3 regioni libiche: Nuri Balabad per il Fezzan, Fathi Bashara per la Cirenaica e Saleh Makhzoum per la Tripolitania. Secondo quanto previsto dall’accordo, il Consiglio di Presidenza sarà responsabile del potere esecutivo e della guida del Governo, dovrebbe deliberare soltanto all’unanimità, porsi al comando delle Forze Armate ed essere responsabile della politica estera e di sicurezza del Paese; inoltre, avrà il compito di formare la lista dei Ministri che costituiranno il Governo vero e proprio, che entro 40 giorni dovrà insediarsi a Tripoli. L’accordo di Skhirat prevede anche che la creazione di una nuova Camera dei Rappresentanti, nella quale confluirebbe il Parlamento di Tobruk, mentre quello di Tripoli diverrebbe una sorta di Consiglio di Stato (con membri nominati dai principali leader libici secondo modalità non ancora chiare), organo che dovrebbe coadiuvare la nuova Camera in materie tecniche (difesa, sicurezza, economia) ed esprimere pareri orientativi sull’attività di legiferazione. Nonostante l’apprezzabile sforzo politico e diplomatico delle parti libiche interessate, come dimostra anche la sottoscrizione dell’accordo da parte dei sindaci di 24 comuni libici, (tra cui Sabratha, Zintan, Baida e Misurata), e delle potenze regionali che hanno partecipato attivamente ai negoziati, tra le quali il nostro Paese da mesi gioca un ruolo di primissimo piano, l'implementazione dell'accordo di Skhirat appare in salita. Prima di tutto, esistono ancora molti rappresentanti di entrambi i Parlamenti, tra cui gli stessi Presidenti Nuri Abu Sahmain e Aguila Saleh, che continuano a dichiararsi apertamente contrari ai contenuti degli accordi, visti come “imposti dall’alto e figli dell’intromissione di altre nazioni”. Basterebbe ricordare qualche semplice numero: dei 156 parlamentari di Tobruk, solo i già ricordati 90 hanno firmato l’accordo, mentre i rappresentanti del CNG erano appena 69 su 136. Tanto è vero che il fronte dei contrari di entrambi gli schieramenti si è già affrettato a far pervenire una lettera al Segretario dell'ONU, Ban Ki-moon, all'inviato delle Nazioni Unite, Martin Kobler, e al Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro per dirsi contrari all'accordo. Inoltre, molte delle milizie che controllano il territorio libico sono vicine ad alcuni dei rappresentanti contrari all'intesa o, comunque, sono state escluse dalle negoziazioni e, ovviamente, appaiono poco inclini a rinunciare al proprio potere e ad interessi consolidati in questo lungo periodo di caos nei confronti di un Governo giudicato non rappresentativo. Il riferimento va sicuramente alle milizie islamiche che controllano militarmente la capitale, in particolare quelle guidate da Abdelhakim Belhadj (ex “emiro” del Gruppo Islamico Combattente Libico), ma anche quelle facenti parte del Consiglio della Shura dei Mujahideen di Derna, come la Abu Salim Martyrs Brigade, nonché la stragrande maggioranza delle milizie di Misurata, oltre allo stesso Generale Haftar, ancora ufficialmente capo delle Forze Armate libiche, che ha definito questi negoziati come “una perdita di tempo”. Fondamentalmente, tutte le milizie (più o meno regolari) che contano realmente sul terreno e che controllano grosse porzioni di territorio sono contrarie all’accordo. Altro elemento di disturbo all’implementazione dello stesso, è quello dell’ostruzionismo o, detto in modo più “politicamente corretto”, della delicatezza del ruolo giocato dai tanti attori regionali interessati. E’ vero che alla firma di Skhirat erano presenti i Ministri degli Esteri del Qatar e della Turchia (oltre al “nostro” Gentiloni ed ai suoi omologhi di Spagna, Marocco e Tunisia), patroni e foraggiatori delle milizie islamiche di “Alba Libica”, riconducibili alla Fratellanza Musulmana, ma erano assenti sia Egitto che Emirati Arabi, sostenitori politici e militari del Generale Haftar. Riguardo al resto della comunità internazionale, sono mesi che l'Unione Europea si dichiara pronta a fornire il proprio contributo per la Libia, un contributo che non può che essere anche militare e che è allo studio da mesi. In tal senso, il Generale dell'Esercito Paolo Serra, consigliere militare delle Nazioni Unite per la Libia, da settimane è impegnato a creare un contesto di sicurezza tale che a Tripoli si possa effettivamente insediare un nuovo Governo. Un impegno che non può prescindere dallo schieramento di una forza di peacekeeping di diverse migliaia di uomini per rendere possibile la riapertura delle ambasciate e, soprattutto, per mettere in sicurezza i palazzi del nuovo esecutivo libico. Ovviamente, sarà necessario anche lo schieramento di un contingente militare per il contenimento della minaccia rappresentata da Daesh, soprattutto nei confronti delle varie installazioni petrolifere. A tal proposito, ad oggi risulta che siano già diversi gli operatori di forze speciali presenti in Libia. In particolare, lo scorso 16 dicembre un contingente americano di 20/25 contractors è giunto in Tripolitania, nell’area tra Zuwara e Sabratha, mentre è segnalata la presenza di distaccamenti di forze speciali francesi nel Fezzan (nei pressi di Ubari) ed inglesi in Cirenaica (regione di Derna, non più di 10 unità), mentre l'Italia è presente con assetti dell'AISE, impegnati anche sul delicato fronte della liberazione dei 4 tecnici della Bonatti di Parma rapiti la scorsa estate.


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