RIVISTA ITALIANA DIFESA
Sicurezza nel Mediterraneo: parliamone 26/11/2015 | Alessandro Marrone*

L’intensificazione delle operazioni militari in Siria, anche dalla portaerei francese CHARLES DE GAULLE e dalla base britannica di Akrotiri a Cipro, confermano ulteriormente l’importanza del tema della sicurezza nel Mediterraneo - se mai ce ne fosse bisogno dopo 2 anni di crisi migratoria che per l’Italia ha avuto soprattutto una dimensione marittima, dopo 4 anni di anarchia in Libia, e dopo la crescente ondata di attacchi terroristici in tutta la “regione euro-mediterranea”. Proprio da questo concetto geopolitico è utile ripartire per mettere nella giusta prospettiva l’orizzonte e le opzioni della politica di difesa italiana nel Mediterraneo. Opzioni, temi e prospettive di cui si parlerà in una conferenza dello IAI (istituto Affari Internazionali) che si terrà a Roma lunedì 30 novembre (alla quale parteciperanno, tra gli altri, il Capo di Stato Maggiore della Marina Amm. Giuseppe De Giorgi e l'Amministratore Delegato di Fincantieri Dott. Giuseppe Bono). Secondo il Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, la “regione euro-mediterranea” è uno spazio complesso e molto diverso in termini di sistemi politici, sociali, economici, culturali e religiosi, reso unitario dalla comune condivisione e gravitazione sul bacino del Mare Mediterraneo che congiunge 5 aree: i Paesi UE, l’area balcanica, l’area del Mar Nero, quella mediterranea parte del Medio Oriente, ed il Maghreb. Connessi con questa regione, ma distinti, sono invece il Mashreq, il Sahel, il Corno d’Africa e la regione del Golfo Persico. La regione euro-mediterranea è già uno dei principali teatri di impiego dello strumento militare italiano, dai Balcani occidentali al Libano e alla Libia, e vede intensi rapporti bilaterali tra la Difesa e le forze armate di diversi Paesi della regione, nonché significative esportazioni dell’industria italiana dell’aerospazio, sicurezza e difesa. Soprattutto, è una regione da cui originano i rischi e le minacce più rilevanti per la sicurezza italiana e per gli interessi nazionali, a causa della vicinanza geografica e di diversi altri fattori. Non a caso il Libro Bianco afferma che la Difesa deve essere pronta ad assumersi dirette responsabilità in risposta a situazioni di crisi, ed essere preparata ad interventi di pacificazione e stabilizzazione anche assumendo l’onere di guidare tali operazioni, con adeguate risorse per esercitare il comando militare di forze multinazionali e con significative capacità di intervento in tutto lo spettro operativo. Insomma, rispetto alla regione euro-mediterranea si vuole uno uno strumento militare Regional Full Spectrum. L’impostazione del Libro Bianco dovrebbe trovare applicazione sia in chiave bilaterale con i Paesi della regione euro-mediterranea, sia a livello multilaterale UE e NATO. Rispetto a quest’ultima, l’Italia potrebbe muoversi su 2 linee di azione. La prima consiste nel riequilibrare il focus dell’Alleanza sul Mediterraneo a livello politico diplomatico, sia in termini di partenariati – in primis il Dialogo Mediterraneo – che di riflessione strategica intra-alleata: occorre infatti accrescere la consapevolezza, specie tra gli alleati del nord e dell’est Europa, che le minacce provenienti dal Mediterraneo non riguardano solo la sicurezza dei Paesi rivieraschi, ma quella di tutta l’Alleanza. Gli attentati di Parigi hanno avuto un impatto emotivo drammatico nel Vecchio Continente, ma non bisogna dimenticare che nell’Europa Centro Orientale – Polonia e Baltici in primis – sia tra Paesi come Norvegia, Germania e Gran Bretagna (nonché Svezia, anche se non è membro NATO), resta prevalente l’idea che l’Alleanza debba concentrarsi soprattutto nella difesa da un eventuale attacco russo condotto tramite forme di “guerra ibrida”. Nel ri-bilanciare il focus dell’Alleanza occorre però maggiore chiarezza su cosa l’Italia vuole che la NATO faccia nel Mediterraneo, prima a livello politico-strategico, e quindi a livello militare, in modo da dare un contributo che non si fermi alla mera dichiarazione di principio sull’importanza del “fianco sud”. La seconda linea di azione riguarda il Readiness Action Plan (RAP), che si configura come il principale strumento nel breve e medio periodo per indirizzare la pianificazione operativa delle forze armate alleate, la loro prontezza e gli scenari di impiego. È qui fondamentale rafforzare la componente marittima del RAP, con adeguati piani militari NATO, se si vuole che questo strumento sia utilizzabile anche per uno scenario mediterraneo e non solo per uno prevalentemente terrestre come quello dell’Europa orientale. Strettamente collegato a questo punto vi è la definizione degli scenari di impiego perla Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), la punta di lancia delle forze di reazione rapida NATO, che deve essere impostata in modo da concretizzare l’impegno, preso da tutti gli alleati, affinché la VJTF sia utilizzabile in qualunque teatro operativo, sia esso di difesa collettiva o di gestione delle crisi “fuori area”, sia sul fianco est che sul fianco sud – ovvero a 360 gradi. Le 2 linee di azione sono strettamente collegate, in quanto la rivendicazione politica dell’importanza della regione del Mediterraneo porta pochi risultati reali se non è accompagnata da proposte concrete sul piano militare – a differenza del caso dei Paesi membri dell’Europa orientale che riescono a coniugare molto bene il livello politico con quello operativo. Ad esempio, il dominio marittimo dovrebbe essere il primo ambito nel quale sviluppare i piani militari NATO per il “fianco sud”, in quanto sarebbe più facile coagulare il consenso necessario sull’analisi della minaccia e la possibile risposta alleata, rispetto a ipotesi più complesse e controverse – ma oggi comunque da discutere – di interventi terrestri sulla sponda sud del Mediterraneo. Le 2 linee di azione andrebbero inquadrate nella preparazione del vertice alleato del 2016, in programma a luglio a Varsavia, per sviluppare di conseguenza i temi in agenda e i dossier sui quali i capi di stato e di governo riuniti a Varsavia saranno chiamati a decidere – o a ratificare decisioni già prese a livello ministeriale o inferiore. Infatti, in maniera crescente nell’ultimo decennio, i vertici alleati hanno assunto la funzione di catalizzatori del processo decisionale interno all’Alleanza, in quanto si prendono decisioni sui vari dossier in agenda e si indirizza ulteriormente la “macchina” politico-militare NATO su determinate priorità e verso certe direzioni. I vertici costituiscono quindi un appuntamento molto importante per Paesi, come l’Italia, che investono nelle organizzazioni internazionali quali l’Alleanza atlantica, per affrontare a livello multilaterale sfide e minacce alla sicurezza e agli interessi nazionali che non potrebbero gestire da soli a livello puramente nazionale.

*Responsabile di Ricerca, Programma Sicurezza e Difesa, IAI


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