
Il Gabinetto di sicurezza israeliano ha dato il via libera all’occupazione a tempo indeterminato di Gaza. Le dimensioni e la durata dell’operazione non sono stati resi noti, ma l’obiettivo di Netanyahu è chiaro: distruggere Hamas e occupare a lungo termine pezzi importanti della Striscia, amministrandola militarmente e creando le condizioni per “un’uscita” dei Palestinesi e un loro reinsediamento fuori da Gaza.
Il Governo israeliano, dunque, alza ancor di più il tiro, ma lo fa in maniera del tutto coerente con la sua strategia “post 7 ottobre”: sradicare Hamas dalla Striscia come obiettivo principale, con il rilascio degli ostaggi come obiettivo ancillare, e modificare il contesto di sicurezza locale e regionale. Una strategia pesantemente condizionata dallo shock del 7 ottobre e dal peso dell’estrema destra, dal cui appoggio dipende l’esistenza di questo Governo.
Smotrich e Ben Gvir già avevano fatto saltare la tregua precedente, impedendo l’avvio della Fase 2, e adesso chiedono di chiudere definitivamente il “capitolo” Hamas che, nonostante un anno e mezzo di attacchi, ha ancora parte della sua infrastruttura militare in piedi. Per cui, nessuna sorpresa di fronte all’ennesimo “morso del cane pazzo” israeliano; morso che, però, formalmente verrà dato solo dopo la fine del viaggio del Presidente Trump in Medioriente la prossima settimana.
Il tycoon, infatti, è allineato sulle posizioni del Governo di Tel Aviv e ha dato “luce verde”, ma non vuol essere “disturbato” in un viaggio che avrà al centro gli affari con le ricche Monarchie del Golfo, in particolare Arabia Saudita e EAU. E proprio a Riad si guarda, specie sul fronte della vendita di nuovi caccia. Sul piatto, pare, F-35 e F-15EX, una prospettiva che potrebbe far saltare definitivamente la vendita degli Eurofighter TYPHOON al Regno, ma anche il suo ingresso nel “club GCAP”.
Parallelamente, Israele continua ad attaccare obiettivi di Hezbollah in Libano – Hezbollah che NON deve assolutamente ricostituire il suo potere militare – dei governativi in Siria – Paese che deve rinascere disarmato – e degli Houthi in Yemen. Ieri sera, una trentina di aerei israeliani hanno attaccato a fondo lo strategico porto di Hodeidah, usato dagli Houthi per ricevere armi e componentistica militare dall’Iran, in risposta al missile che, lanciato dallo Yemen, aveva colpito l’aeroporto Ben Gurion. Oggi, invece, si è registrata una seconda, grande, ondata di attacchi che hanno interessato la capitale, ma non solo. Colpite centrali elettriche, fabbriche, depositi di carburante e l'aeroporto (terminal passeggeri e piste) di Sanaa. Nell'azione sono stati coinvolti cacciabombardieri pesanti F-15I e caccia omniruolo F-35I. Da notare la sproporzione tipica delle risposte israeliane, connaturata al peculiare concetto di deterrenza dello Stato Ebraico.
Sul fronte Iran, invece, per il momento il trattativista Trump vuole continuare a dialogare con Teheran, mentre Nethanyau e i falchi spingono per un attacco a breve. Un tira e molla che ha fatto una vittima illustre: il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Waltz, allineato sulle posizioni dei falchi.
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