
Dopo una difficile gestazione, il 30 aprile è stato firmato l'accordo tra USA ed Ucraina sui minerali strategici.
Il documento, firmato a Washington dal Segretario al Tesoro americano Scott K. H. Bessent e dalla Vice Primo Ministro ucraina Yuliia Svyrydenko, stabilisce il Fondo d'Investimento in questione con una struttura di partnership paritetica, dove i 2 Paesi sono rappresentati, rispettivamente, dall’International Development Finance Corporation americana e dall’Agenzia di Supporto alla Partnership Pubblico-Privata ucraina.
L’osservanza del principio “50-50” è data dal fatto che il fondo verrà gestito da un Consiglio composto da 3 rappresentanti per ciascun Paese che decideranno congiuntamente l’allocazione delle risorse. Circa queste, è previsto come metà delle royalties, commissioni di licenza e altri proventi simili provenienti da nuovi progetti di sfruttamento delle risorse naturali in Ucraina debbano confluire nel fondo comune.
Quali sono queste risorse naturali? Ovviamente, sia terre rare che minerali strategici, visto che nell’accordo è inclusa una lista di 57 risorse minerarie di questo tipo presenti sul territorio ucraino, nonché petrolio e gas naturale.
È importante sottolineare sia come l’Ucraina mantenga piena sovranità e controllo sulle proprie risorse naturali, conservando il diritto di determinare quali risorse estrarre e da quali aree del proprio territorio, sia come l’accordo si applichi esclusivamente a nuove licenze di estrazione e sfruttamento, e non a quelle già esistenti prima dell'entrata in vigore dell’accordo.
Quest’ultimo contiene anche riferimenti all’assistenza militare americana: qualsiasi nuova fornitura di aiuti militari (armi, munizioni, tecnologia o addestramento) che gli Stati Uniti invieranno all’Ucraina verrà difatti considerata come un aumento del contributo di capitale americano al fondo. L'accordo specifica che l’Ucraina non dovrà rimborsare l’assistenza militare fornita prima dell'entrata in vigore dell'accordo.
E, comunque, per i primi 10 anni, tutti i profitti generati dal Fondo saranno reinvestiti in Ucraina, incentivando investimenti trasparenti e orientati al futuro nei settori critici dell’economia del Paese.
Le aziende statali ucraine, come UKRNAFTA ed ENERGOATOM, rimarranno sotto controllo ucraino (cosa che mai era stata, in ogni caso, messa in discussione durante i negoziati, almeno per quanto se ne sa) e le attività della partnership non saranno soggette a tassazione né in Ucraina né negli Stati Uniti. Il Governo ucraino garantirà inoltre la libera convertibilità della grivnia in dollari e la trasferibilità dei fondi senza costi o ritardi per le operazioni della partnership.
L'accordo, infine, riconosce esplicitamente le aspirazioni dell’Ucraina di entrare nell’Unione Europea, e, a questo punto, sarebbe lecito chiedersi chissà perché ciò ha dovuto costituire termine di negoziato con gli USA… La risposta è contenuta in alcune clausole di flessibilità, per le quali, se l’Ucraina dovesse assumere taluni obblighi aggiuntivi legati al processo di adesione all’UE che potrebbero influenzare l'accordo, entrambe le parti contraenti si impegnerebbero a negoziare gli eventuali adeguamenti necessari.
L'accordo tiene il punto su alcune posizioni ucraine - a cominciare dalla sovranità sulle risorse - garantendo allo stesso tempo una posizione privilegiata agli USA. Questi, difatti, ottengono:
- l’agognato accesso preferenziale a progetti di sfruttamento delle risorse naturali dell’Ucraina;
- che i profitti derivanti dagli investimenti saranno esentasse e non soggetti ad alcun prelievo o dazio da parte ucraina;
- la garanzia degli “offtake rights” (diritti di acquisto prioritario) a condizioni di mercato per le risorse estratte, con l’impegno per le autorità ucraine ad includere nei termini delle licenze disposizioni che consentano al partner USA di negoziare questi diritti;
- che la futura assistenza militare americana sarà considerata, come anticipato, come un aumento del contributo di capitale americano al fondo.
Quest'ultima è la calusola potenzialmente più controversa, in quanto apre alla possibilità che la quota capitale del fondo possa essere modificata e che gli Americani ne possano prendere il controllo. Molto dipenderà, dunque, da come verranno messe nero su bianco le intese tecnico-attuative e di dettaglio.
Nei prossimi giorni è attesa la ratifica del Parlamento ucraino, cosa che non dovrebbe rappresentare particolari problemi, visto che Kiev:
- ha, in sostanza, mantenuto il pieno controllo sul sottosuolo, sulle infrastrutture e sulle risorse naturali, e soprattutto su dove e cosa estrarre, nei fatti, mantenendo la piena proprietà delle sue risorse;
- non è soggetta ad alcun obbligo di debito verso gli USA, il che implica che non vi sarà alcun rimborso dei 350 miliardi di dollari di aiuti precedenti richiesti inizialmente da Trump;
- beneficerà del fatto che i profitti generati saranno completamente reinvestiti nell'economia ucraina per i primi 10 anni.
Qualora tutte le procedure formali siano completate in tempo, la ratifica potrebbe essere votata già durante le sessioni parlamentari ucraine previste fra il 13 e il 15 maggio.
Dopo quest’atto (che implicherà quasi automaticamente alcune modifiche legislative che Kiev dovrebbe attuare sui propri codici fiscali e di bilancio), seguiranno, appunto, le parti tecniche. Lì si capirà esattamente il reale esito della partita tra Kiev e Washington.
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