RIVISTA ITALIANA DIFESA
I limiti dell’Aeronautica e della difesa missilistica russa in Ucraina 25/03/2025 | Andrea Mottola

Dopo 3 anni di guerra è possibile trarre diverse conclusioni relativamente alle lacune, analizzate sulla base di aspetti dottrinali, tattici e tecnologici, mostrate dall’Aeronautica e dalla difesa missilistica russa nel corso delle operazioni in Ucraina. Tale disamina si concentra principalmente sugli aspetti relativi alle operazioni di velivoli ad ala fissa e dei sistemi antiaerei, trattando fugacemente l’impiego di elicotteri, missili balistici/cruise e UAV suicidi/circuitanti. Per completezza d’analisi, il presente articolo verrà seguito, nel prossimo numero, da un approfondimento simile sulle capacità aero-missilistiche mostrate dai Russi nelle operazioni ucraine.

L’approccio dottrinale

Una doverosa premessa va fatta prima di procedere all’analisi dei suddetti argomenti, evidenziando un elemento fondamentale per comprenderne alcuni aspetti: la dottrina. Storicamente l’Aeronautica Russa (o, meglio, le Forze Aerospaziali russe – VKS) ha sempre puntato su una robusta difesa terra-aria posta a protezione dell'avanzata delle forze terrestri, con l'Aviazione tattica dedicata a colmare i gap lasciati dall’impiego dei sistemi missilistici antiaerei per difendere il territorio russo, laddove l'Aviazione a lungo raggio/strategica e la componente ad ala rotante dell’Esercito agivano come "artiglieria volante" come parte dell’offensiva terrestre.

Tuttavia, negli ultimi decenni, i Russi hanno investito molto in miglioramenti tecnologici in campo aeronautico: radar AESA, missili aria-aria a lungo raggio, maggior manovrabilità dei caccia (FLANKER) e moderate capacità stealth (Su-57). Questi miglioramenti hanno rafforzato l'idea, in Occidente, che le VKS stessero modificando la loro dottrina verso un ruolo decisamente più focalizzato sulla tradizionale superiorità aerea, il che ha portato la NATO a consolidare il proprio addestramento per affrontare una componente aerea costituita da velivoli la cui principale missione era quella di raggiungere la supremazia aerea in un eventuale conflitto convenzionale.

Alla luce di tale assunto – dimostratosi fondamentalmente errato, come vedremo – e delle annesse valutazioni sul potere aereo russo e le sue capacità, risulterebbe difficile comprendere come sia possibile che, dopo 3 anni di guerra, le VKS non siano state in grado di garantirsi la supremazia aerea in Ucraina, o almeno una superiorità aerea localizzata, o di giustificare l’elevato numero di perdite subite.

La spiegazione, tuttavia, è semplice: la dottrina aerea russa non è cambiata rispetto alla Guerra Fredda e continua a prevedere l’impiego dell’Aviazione come una "artiglieria volante" ad alta reattività che ha il compito di integrare e supportare l’offensiva terrestre. Ciò implica una predominanza delle forze di terra, tanto che il coordinamento delle operazioni aeree è svolto dai comandanti dell’Esercito, non delle VKS. In pratica, la “jointness” russa è basata su una gerarchia in cui Aeronautica e Marina sono fondamentalmente subordinate, o dipendenti, dalle esigenze dell’Esercito.

 

L’articolo completo è pubblicato su RID 04/25, disponibile online e in edicola.

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