RIVISTA ITALIANA DIFESA
European Defence Readiness 2030, il Libro Bianco dell’UE per la Difesa e le conseguenze sull’Italia 20/03/2025 | Pietro Batacchi

È stato pubblicato ieri l’European Defence Readiness 2030, il Libro Bianco dell’UE per la Difesa, ovvero il documento con il quale l’Unione Europea delinea i caratteri generali del processo che la dovrà portare ad evolvere in soggetto politico-strategico.

Nella prima parte del documento vengono analizzati l’attuale scenario internazionale – che, attenzione, non può essere valutato solo e soltanto sulla minaccia russa! – e identificati una serie di gap a livello militare. Per quanto riguarda questi ultimi, ai “soliti noti” – trasporto aereo strategico e aerorifornimento – si aggiungono difesa contraerei, munizionamento e missili (con la costituzione di riserve strategiche), droni e anti-drone, mobilità militare e una serie di enabler: dall’AI, al cyber, passando per le CEMA (Cyber Electro Magnetic Activities). Per esempio, il tema della mobilità militare e, in generale, della logistica, è veramente critico ed è da sempre “materia” NATO (ovvero, americana). L’UE ha, a questo proposito, identificato 4 corridoi multimodali prioritari (ferroviari, stradali, aerei e marittimi), per consentire spostamenti su larga scala e con breve preavviso di truppe ed equipaggiamenti, che necessitano di investimenti considerevoli e urgenti. All'interno di questi 4 corridoi prioritari, sono già stati individuati 500 progetti critici, tra cui l'ampliamento di tunnel ferroviari, il rafforzamento di ponti stradali e ferroviari, e l'espansione di terminal portuali e aeroportuali.

Altre 2 questioni calde: l’Ucraina e la base industriale della Difesa. Sull’Ucraina, l’obiettivo è incrementare il supporto dell’UE, ma, in realtà, il documento non dice granché di concreto che non si sapesse già. Sicuramente, il passaggio più interessante riguarda l’intento di associare l’Ucraina alle iniziative europee nel campo della Difesa e integrare le rispettive industrie. Per ciò che concerne la base industriale, si parla di snellimento burocratico e semplificazione normativa, di riconoscimento reciproco delle certificazioni di prodotti e beni militari, e poi, ancora, di ordini a lungo termine che consentano all’industria di pianificare con certezza gli investimenti. A ciò bisogna aggiungere un ruolo più importante dell’Agenzia Europea della Difesa (EDA, European Defence Agency), per la sistematica aggregazione della domanda e la strutturazione di politiche di procurement congiunto, e la creazione di un European Military Sales Mechanism per rendere maggiormente disponibili prodotti europei e accelerarne i tempi di consegna. Significativa anche la parte dedicata alle materie prime critiche con la relativa previsione della costituzione di una piattaforma per l’approvvigionamento e le forniture congiunte.

Infine, il “piatto forte” del documento con la sezione dedicata alle spese militari, vale a dire il vero e proprio “Rearm Europe”. I cardini del piano, più o meno già anticipati, sono in particolare 3:

1) I 150 miliardi di SAFE (Security Action For Europe), ovvero i 150 miliardi di prestiti destinati alle Difese degli Stati membri, che l'UE raccoglierà sul mercato dei capitali e che saranno garantiti dal bilancio comune europeo. Con questi fondi verranno finanziati esclusivamente programmi comuni, che coinvolgano almeno 2 Stati membri o uno Stato membro e l'Ucraina;

2) L’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità relativamente alle spese militari (spese correnti e investimenti). Una misura che consentirà agli Stati membri di mobilitare risorse aggiuntive nel settore fino all’1,5% del PIL per un periodo di 4 anni. Questo è probabilmente il passaggio più controverso, perché gli Stati ricorreranno ad extra deficit, a meno di non prevedere tagli alle spese sanitarie e sociali, da finanziare con nuovo debito pubblico. Per cui c’è il rischio che Paesi ad alto debito, come l’Italia, tra 4 anni si ritrovino nuovamente con il cappio del Patto di Stabilità. Non a caso, il Governo italiano ha espresso dubbi su “Rearm Europe”, chiedendo una contestuale revisione del Patto di Stabilità, e lo stesso Libro Bianco prevede sin d’ora la possibilità di estendere il periodo di 4 anni per l’applicazione della clausola.

3) Il raddoppio – a 2 miliardi l’anno – dei fondi della BEI (Banca Europea degli Investimenti) destinati al finanziamento di programmi militari, in particolare nei seguenti settori: droni, Spazio, Cyber, Quantum e infrastrutture militari.

Tutto questo per l’Italia significherebbe tra i 20 e i 30 miliardi di euro in più l’anno per la Difesa. Una forchetta che dipende da quanto deficit vorrà fare il nostro Paese e da che cosa verrà messo effettivamente “dentro” le spese per la Difesa (Carabinieri, Guardia Costiera, ecc.). Comunque, ipotizzando una ventina di miliardi in più l’anno per la Difesa, la metà delle potrebbe andare a Esercizio e Personale, e l’altra metà a Investimenti e Infrastrutture.

Dettagli, analisi e approfondimenti su RID 5/25.

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