RIVISTA ITALIANA DIFESA
Ucraina, la (finta) partita a scacchi a 3 14/03/2025 | Pietro Batacchi

Ieri c’è stata grande attesa per la risposta che avrebbe dato il Presidente Putin alla proposta di tregua temporanea, 30 giorni, formulata dall’Amministrazione Trump e subito accettata dagli Ucraini. Ebbene, lo Zar ha risposto “ni”.

O meglio, ha detto no alla proposta di tregua di 30 giorni, ma sì a una tregua in generale (condizionata) e, soprattutto, è stato ben attento a lasciare la porta aperta a Trump. Paradossalmente, Zelensky e Putin su questo sono perfettamente in sintonia: il Presidente ucraino, dopo il disastroso 28 febbraio, non aveva altra scelta che riallinearsi a Washingon, lasciando cadere la questione delle garanzie, per tornare al centro dell’interlocuzione politica, mentre Putin vede in Trump una sponda fondamentale per limitare l’impatto della pressione occidentale.

Insomma, adesso più che mai è Trump al centro della scena ed è lui a stabilire il perimetro del negoziato, muovendo la leva dell’assistenza militare con Zelensky e quella delle sanzioni con Putin. Almeno sembra, beninteso, perché poi a ben vedere in questa partita a scacchi le pedine, purtroppo, sono le stesse, di sempre.

La Russia condiziona la tregua ad una accordo strutturale capestro: vuole che si riconosca il controllo non solo su tutti i territori conquistati, ma anche su quelle parti di Kherson, Zaporizhia, Donetsk e Lugansk ancora da conquistare, e vuole inoltre “sirianizzare” l’Ucraina, ovvero vuole che il resto del Paese sia sostanzialmente privo di dimensione militare. E poi mettiamoci anche la questione della presenza di soldati europei sul suolo ucraino a garanzia di un’eventuale tregua, che il Cremlino vede come il fumo negli occhi. In pratica, Mosca la pensa esattamente come 3 anni fa e vuole ridurre Kiev al vassallaggio. C’è solo un piccolo problema: Putin la guerra non l’ha vinta e non ha una posizione di forza tale da imporre questa condizione agli Ucraini. Vuoi la politica di potenza bellezza? Eccola.

E ora veniamo a Zelensky. Il Presidente ucraino ha accarezzato a lungo l’idea di poter vincere la guerra, forte dell’appoggio occidentale, dei successi ottenuti sul campo e dei limiti oggettivi mostrati dalla macchina bellica russa. Poi, con la mobilitazione parziale ed alcuni correttivi, è uscita fuori la tradizionale resilienza di Mosca. Zelensky, però, non riconosce come interlocutore Putin, e in questo è assolutamente corrisposto, ha perso, oltre alla carta Kursk, i suoi riferimenti nell’Amministrazione democratica, non digerisce Trump e anche il fronte interno non è più monolitico. Si aggrappa, allora, al sostegno europeo e all’idea che i Russi, come sostengono taluni economisti, sarebbero destinati ad esaurirsi da qui a un anno. Un’idea che potrebbe tradursi in un azzardo rischioso, e molto costoso.

Dunque? Dunque, la sensazione è che si continui ancora questa finta partita a scacchi e che si vada avanti fino all’esaurimento: di entrambi.

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