Nel tanto annunciato, e atteso, attacco all’Iran, Israele non impiegherà solo i suoi caccia con bombe guidate, bunker buster e missili standoff, ma anche armi per così dire segrete, o delle quali finora si sa pochissimo.
Intanto, c’è da attendersi che l’attacco comprenda anche una componete rilevante cyber o, per meglio dire, CEMA (Cyber Electro Magnetic Activities). Israele del resto è stato il primo Paese a “mixare” cyber ed EW con l’attacco al reattore nucleare siriano di Al Kibar il 6 settembre 2007 (reattore di design nordcoreano, replica di quello di Nyoongbyon). In quell’occasione gli Israeliani “entrarono” nella rete radar siriana, attraverso le comunicazioni RF, e la “inquinarono” con false informazioni. In caso di attacco all’Iran si potrebbe, pertanto, assistere ad una ripetizione di questa tipologia di azione, su più larga scala e con una maturazione tecnologica evidentemente superiore, grazie anche all’uso dell’AI che aiuterebbe, e non poco, a individuare le vulnerabilità e i “buchi” della rete C2 e antiaerea di Teheran.
Poi, Israele potrebbe mettere in campo pure armi che non abbiamo mai visto, come i missili balistici lanciabili da terra classe JERICHO II e JERICHO III. I primi sono missili bistadio a propellente solido a medio raggio, con una portata attorno ai 1.500 km, equipaggiabili con una testata convenzionale da 1-1,5 t o con una testata nucleare. Israele dovrebbe averne attualmente in servizio una novantina nel complesso di Zacharia, a sudovest di Tel Aviv. I JERICHO III sono, invece, missili balistici a raggio cosiddetto intermedio, presumibilmente tristadio, con una portata attorno ai 5.000 km. Anche in questo caso è possibile utilizzare sia una testata convenzionale, sempre nella classe 1-1,5 t, o nucleare. Secondo alcune fonti i JERICHO III sarebbero in realtà missili a testata multipla, 2-3 testate montate su veicoli di rientro (MIRV). Tra l’altro, ricordiamo che lo scorso gennaio, proprio nel pieno della nuova Guerra in Medioriente, Israele ha condotto un test missilistico dalla base di Palmachim (circa 15 km a sud di Tel Aviv). Test di cui, ovviamente, non sono stati rilasciati dettagli.
Sempre in tema di missili balistici, ricordiamo anche che l'Aeronautica Israeliana avrebbe già impiegato nella rappresaglia all’attacco iraniano dello scorso aprile, missili balistici aero-lanciati ROCKS/BLUE SPARROW. Si tratta di ordigni, derivati dagli aeroebrsagli SPARROW, di cui utilizzano il booster, accreditati di una portata di diverse centinaia di chilometri (ufficialmente non nota) e dotati di una guida sofisticata che, grazie ad una sistema di analisi e riconoscimento del terreno (AI-based), permette al missile di operare in ambienti in cui il GPS è negato o degradato. A ciò bisogna aggiungere un seeker completamente passivo che combina un canale elettro-ottico e un homing anti-radiazioni.
Ma Israele potrebbe giocare anche la carta dei suoi… “delfini”, ovvero i sottomarini classe DOLPHIN e DOLPHIN II. In entrambi i casi i battelli, oltre che con i classici 6 tubi da 533 mm per il lancio dei siluri pesanti, sono equipaggiati con 4 più grossi tubi da 650 mm, utilizzabili sia come mezzo di rilascio per gli incursori sia per il lancio di missili da crociera per l’attacco ad obbiettivi terrestri. Pur non essendo mai stato ufficialmente confermato, è noto che Israele abbia adottato su questi sottomarini i TURBO POPEYE, missili da crociera con una con una portata di oltre 1.500 km e la possibilità di adottare una testata convenzionale o una nucleare. I DOLPHIN, dunque, garantiscono a Israele una capacità di cosiddetto “second strike” nucleare. Di queste armi in realtà non si sa sostanzialmente nulla. Nel 2000, come rilavato dall’US Navy, fu osservato un test condotto dagli Israeliani durante il quale un missile colpì il suo bersaglio a 1.500 km di distanza e da allora le speculazioni sull’esistenza e le prestazioni del TURBO POPEYE sono cresciute a dismisura. È facile immaginare che sui DOLPHIN II - che, ricordiamolo, hanno un sistema di propulsione indipendente dall’aria (AIP, Air-Independent Propulsion), che ne estende notevolmente l’autonomia in immersione - sia stata adottata una versione migliorata del TURBO POPEYE con una portata incrementata. Non solo, ma il terzo DOLPHIN II, INS DRAKON, che dovrebbe entrare in servizio a breve (posto che non sia già), è dotato di una vela molto più grossa di quella dei primi 2 DOLPHIN II (di circa 5 m più lunga). Non è chiaro che cosa contenga, ma essa potrebbe anche ospitare un paio di pozzi verticali per il lancio di missili balistici o un sistema di rilascio per droni subacquei o, ancora, un sistema di rilascio “più comodo” per gli incursori. Nel primo caso, al momento da fonti aperte non si ha evidenza che Israele abbia mai testato un missile balistico da piattaforma subacquea o da sottomarino - test evidentemente necessario/i per integrare un SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile) sul DRAKON – ma non è detto che non lo faccia nel prossimo futuro. Secondo informazioni in nostro possesso, i DOLPHIN avrebbero ricevuto anche trattamenti superficiali speciali, per consentirne un più efficace impiego nelle acque basse e brune del Golfo Persico.
(In foto: il vettore spaziale israeliano SHAVIT 2, che si pensa condivida il design con il missile balistico JERICHO)
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