Il concetto stesso di nave da sbarco (o d’assalto anfibio) risale agli anni della 2a Guerra Mondiale, quando le operazioni anfibie erano state le protagoniste della vittoriosa campagna alleata, tanto in Europa (Marocco, Algeria, Sicilia, Salerno, Anzio, Normandia), quanto e soprattutto nel Pacifico, dove l’esperienza del Corpo dei Marines avrebbe consentito la nascita di una vera e propria dottrina della guerra anfibia.
Dopo quella epopea, le grandi operazioni di sbarco sono state estremamente limitate: gli sbarchi americani a Inchon e Wonsan (1950), quello anglo-francese a Port Said (1956), e quello inglese alle FalklandS (1982). Tuttavia, mentre l’Operazione MUSKETEER del 1956 si era svolta contro un avversario impreparato e incapace di difendersi efficacemente, la campagna delle Falklands andò in modo molto diverso. Bisogna infatti osservare che si dovette mobilitare l’intera Royal Navy (la seconda flotta più grande della NATO) per poter riconquistare 2 isole di piccole dimensioni, situate a grande distanza dalla terraferma e quindi con una capacità difensiva piuttosto ridotta.
Ciononostante gli Inglesi persero 2 cacciatorpediniere, 2 fregate, 1 nave da sbarco, 1 mezzo da sbarco, e 1 portacontainer trasformata in portaerei ausiliaria, mentre altre 12 navi scorta e 4 navi da sbarco vennero danneggiate più o meno gravemente dagli attacchi dei cacciabombardieri argentini. Molti di questi danneggiamenti si sarebbero probabilmente trasformati in affondamenti se le spolette delle bombe argentine, sganciate a bassissima quota, avessero funzionato.
L’articolo completo è pubblicato su RID 6/24, disponibile online e in edicola.
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