La crisi messicana è un conflitto a bassa intensità dilatato da forme di narco-terrorismo. Una minaccia che, pur non avendo motivazioni ideologiche, produce un alto impatto sociale. Tra gennaio e ottobre 2018 le vittime sono già state oltre 13.000; se consideriamo il periodo che inizia nel 2006 superano le 235.000. E l’elenco non si arresta mai. Dal dicembre 2006 le Forze Armate messicane sono state schierate contro il crimine organizzato con una punta di lancia rappresentata dai Marines, sui quali gli USA hanno riversato appoggi e intelligence per contenere l’infiltrazione dei cartelli radicati anche sul proprio territorio.
Le tattiche
Una decina di organizzazioni maggiori e centinaia di sottogruppi si danno battaglia e colpiscono in modo indiscriminato. Il peso dell’ala militare è cresciuto, molte “famiglie” sono state scosse dalle faide, i sicari hanno preso il sopravvento. I protagonisti somigliano ai militanti dello Stato Islamico, ne copiano le tattiche, sorretti da arsenali robusti.
I gangster hanno 2 tipi di unità, legate a specifiche missioni. La prima è rappresentata dalla “colonna”: decine di veicoli che permettono il trasferimento di droga in condizioni protette e che possono diventare lo sciame nell’assalto contro gli avversari. L’ISIS in Iraq o Boko Haram in Nigeria hanno spesso impiegato i loro pick-up dotati di contraeree per “investire” basi dell’esercito. Le “tecniche” del Sahel e della Somalia adattate al nuovo scenario dai pistoleri. La colonna - anche 30-40 mezzi - entra in una località, conduce caroselli nelle strade, circonda il commissariato, quindi scarica “piombo”. Spesso ne fanno parte fuoristrada blindati in modo artigianale, rinforzati da piastre in metallo, dotati di feritoie. Ai camioncini corazzati, identici a quelli usati dopo il 2003 dai contractors in Iraq, si sono aggiunti i “mostri”. Rudimentali trasporto truppe - anche qui molte analogie con quelli del Califfato - con torretta, lastre per difendere le ruote, armi di squadra, una lama anteriore per spazzare via gli ostacoli.
E’ evidente che in questo modo i cartelli hanno una discreta mobilità, tutelano i loro uomini, dimostrano la loro forza in luoghi dove gli agenti, agli occhi dei civili, paiono impotenti.
Le file di SUV hanno un ruolo chiave nella preparazione degli agguati. I banditi hanno il vantaggio - quasi sempre - di fare la prima mossa, scelgono il terreno ideale, arrivano con adeguate risorse. Gli attacchi contro una cittadina o nei confronti di pattuglie sono accompagnati dai “blocchi”. Gli stessi veicoli dei narcos creano uno sbarramento per isolare un punto geografico, per circondare un’unità; gli equipaggi seminano chiodi a 3 punte e lasciano ostacoli. In alternativa dirottano autobus, TIR, auto-rimorchi e li incendiano lungo gli assi stradali, nel mezzo di incroci. Come azione preventiva, ma anche in ritorsione alla cattura di un boss. Così seminano panico, accrescono la confusione, ritardano la contromossa, mettono alla berlina le autorità.
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