RIVISTA ITALIANA DIFESA
Attacco all'Europa 26/07/2016 | Pietro Batacchi

Gli ultimi episodi di terrorismo, dalla Francia, alla Germania, dimostrano un fatto estremamente chiaro: l'Europa è sotto attacco. L'ultimo obbiettivo, con quanto accaduto a Saint-Etienne-du Rouvray, è la Chiesa cattolica, uno dei pilastri dell'idea stessa d'Europa. In questo IS ha compiuto un salto in avanti significativo rispetto ad Al Qaeda, tradizionalmente più prudente sul versante dello scontro con la Chiesa. Se guardiamo alla frequenza e all'intensità degli attacchi terroristici che hanno colpito il Vecchio Continente negli ultimi 2-3 anni si può ormai tranquillamente parlare di guerra civile d'Europa, ovvero di una situazione in cui un estremismo islamico ampiamente radicato in comunità di seconda o terza generazione colpisce indiscriminatamente obbiettivi di diversa tipologia, ma tutti quanti di natura soft e civile, per fare il più alto numero di vittime possibili. Una minaccia tutta interna, dunque, che è cresciuta e si è consolidata per effetto di quella lunga stagione di radicalizzazione partita con la resistenza all'occupazione sovietica dell'Afghanistan e passata poi per la guerra civile di Algeria, l'11 settembre, la guerra in Iraq e ancora in Afghanistan, per finire alla Siria. Proprio la guerra civile siriana è stato l'ultimo evento in ordine temporale ad aver creato i presupposti per una nuova stagione di radicalizzazione ed un movimento senza precedenti di estremisti dall'Europa alla Siria e ritorno. A ciò bisogna aggiungere la recente ondata migratoria che, ad oggi, non è chiaro quanto in profondità possa essere stata infiltrata da organizzazioni come IS o di altro tipo afferenti al radicalismo islamico di matrice wahabita-salafita. L'Europa, pertanto, deve i fare i conti con una minaccia variegata che può assumere i contorni del commando di stile militare che attacca il Bataclan, dei kamikaze che si fanno esplodere negli aeroporti o dei lupi solitari con il coltello o il machete o, ancora, del camion omicida. Gli effetti sono comunque devastanti, soprattutto sul piano psicologico. Al Adnani, portavoce dello Stato Islamico, qualche tempo fa aveva incitato i suoi adepti a colpire con ogni mezzo, anche quello più rudimentale: e così è stato. Del resto, lo Stato Islamico, sempre più in difficoltà in Siria, ma soprattutto in Iraq, ha dimostrato di essere un'organizzazione straordinariamente flessibile e versatile capace di combinare strategie militari di tipo convenzionale con strategie radicalmente asimmetriche e che, anche se in difficoltà, è in grado di colpire in Asia come in Europa. Questo perchè per almeno 3 anni il gruppo è cresciuto senza freni e si è radicato in maniera spaziale sia nel Siraq che nelle comunità islamiche europee ed ha visto crescere esponenzialmente il fascino del suo marchio. Un marchio che viene opposto/proposto in alternativa a quello concorrente di Al Qaeda e che viene alimentato da attacchi eclatanti e che è curato con grande attenzione attraverso l'uso sistematico dei social e del Web, l'adozione di campagne propagandistiche perfettamente sincronizzate con gli attacchi e via dicendo. Cose che faceva e fa anche Al Qaeda, ma su una scala e con un'attenzione diverse. La grande intuizione di Baghdadi, tuttavia, è stata proprio quella di mettere al centro della sua narrativa non tanto l'Islam, cioè la religione, ma il marchio, al quale l'Islam è subordinato, che ha ormai oscurato quello tradizionalmente consolidato nel mondo jihadista di Al Qaeda e che sta esercitando un enorme fascino in tutto il mondo islamico. Ecco, allora, che non è un caso che tra i ranghi del gruppo vi siano piccoli criminali delle periferie europee, alla ricerca di una sorta di rigenerazione, o la gioventù dorata di Dacca, che pare abbracciare la causa di IS quasi a voler trovare "nuove emozioni" o, ancora, vecchi arnesi di eserciti e apparati statali che furono privi di ogni prospettiva e, dunque, facilmente arruolabili. E poi ci sono i lupi solitari, gli sbandati, o gli psichiatrici, che si radicalizzano in tempi brevi e che anche se non sono in contatto diretto con l'organizzazione, vengono da questa manipolati sia prima che dopo un attacco. Prima, attraverso la propaganda sul Web, ma anche attraverso l'azione di case officer, agenti manipolatori cioè, che operano come veri e propri gestori di risorse reclutandole, influenzandole e orientandole verso l'obbiettivo. Da una parte, pertanto, abbiamo un quadro intermedio che fa capo all'organizzazione, dall'altra, un "terminale offensivo" che non è parte dell'organizzazione ma che viene eterodiretto da questa. In qualche misura sembra che questo sia stato il modello dell'attacco di Nizza. Soggetto difficile, marginale, con tratti psichiatrici al quale il case officer in questione ha offerto un'alternativa di rigenerazione esistenziale sacrificandosi contro gli infedeli. Il case officer è il responsabile della condotta del "terminale offensivo" e ne fa da garante verso i livelli organici più alti. Nella fase successiva, giunge poi l'attribuzione di paternità dell'attacco, ovvero lo Stato Islamico se ne assume la responsabilità nonostante che chi l'ha commessa non faccia parte dell'organizzazione o non ne abbia giurato fedeltà. In altre occasioni, invece, come ad Ausbach, c'è stato il giuramento prima dell'attacco. Questa sorta di pragmatismo costituisce l'indubbio vantaggio dello Stato Islamico rispetto ai concorrenti di Al Qaeda e che fa dello Stato Islamico un nemico multiforme, più subdolo e pericoloso, dal quale emana una minaccia che può assumere i contorni del commando di stile militare che attacca il Bataclan, dei kamikaze che si fanno esplodere negli aeroporti o dei lupi solitari/sbandati con il coltello o il machete o, ancora, del camion omicida come sulla Promenade Des Anglais. 


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